CORRIDOIO BALCANICO

Non solo i siriani premono ai confini dell’Ungheria

Fra i migranti entrati nel Paese con la speranza di passare in Germania, anche tanti afghani e pakistani. Tutto questo complica ulteriormente la situazione. Tutti si rifiutano di dare le proprie generalità. L’azione della Caritas ungherese attraverso la testimonianza di Bálint Vadász, rientrato da un viaggio per verificare lo stato dei campi allestiti a Nagylak e Kiskunhalas. Il caos a Budapest

Caos a Budapest. Il 1° settembre è stato un giorno nero per l’Ungheria. Per tre ore la stazione ferroviaria Keleti si è fermata. Nessun passeggero poteva salire e scendere dai treni e i collegamenti con il Paese si sono paralizzati. Impossibile fare una stima delle centinaia di migranti che dai confini sud del Paese sono riusciti a raggiungere la capitale. Hanno preferito uscire illegalmente dai campi profughi allestiti al sud perché sono determinati a raggiungere a tutti i costi l’Austria e la Germania, vera meta del loro viaggio. A raccontare le ore concitate che si stanno vivendo a Budapest e in generale in tutta l’Ungheria è Bálint Vadász della Caritas ungherese reduce un viaggio condotto insieme al suo direttore per verificare lo stato di due campi allestiti a Nagylak e Kiskunhalas.

Budapest si è ritrovata a gestire centinaia e centinaia di profughi arrivati nella capitale, seguendo le rotte balcaniche, per raggiungere i paesi dell’Europa nord-occidentale. Mostrano i biglietti già acquistati e sollevano i bambini per mostrarli alle forze dell’ordine sperando nella loro clemenza. Ma per i rifugiati bloccati a Budapest non c’è possibilità di salire sui treni. E così, racconta Bálint Vadász, i profughi si sono accampati nei dintorni della stazione, provocando grandi disagi alla circolazione in città. "Quello che vediamo in questo momento è disordini e spazzatura. Non è facile gestire una simile quantità di persone ma la difficoltà più grande per la polizia e per le forze dell’ordine, è quella di identificare i migranti secondo le normative europee". Germania e Austria hanno infatti dichiarato di poter accogliere solo i rifugiati siriani che sono gli unici autorizzati a partire e salire sui treni ungheresi. Ma identificarli è un’impresa pressoché impossibile perché, racconta l’operatore della Caritas, "i migranti si rifiutano di dare le loro generalità e l’impronta digitale. Infatti il loro obiettivo non è quello di restare in Ungheria ma di lasciare il Paese il prima possibile". In queste condizioni, è normale che la tensione salga. E purtroppo ciò accade "a causa di piccoli gruppi che reagiscono con aggressività" alle indicazioni delle forze dell’ordine.

Secondo i dati diffusi dai media locali, solo nella giornata del 1° settembre sono entrati in Ungheria 2.284 migranti, fra cui 353 minorenni. Sono circa 500 in più rispetto a due giorni prima e si tratta in gran parte di persone provenienti da Siria, Afghanistan e Pakistan. È normale che il caos favorisce l’illegalità e nelle ultime 24 ore in Ungheria sono stati arrestati sei trafficanti di esseri umani. Sono inoltre previste dal governo di Viktor Orban, misure per inasprire le pene a carico di chi attraversa illegalmente le frontiere. Inoltre l’esecutivo intende mobilitare l’esercito in difesa della frontiera, visto che il muro di filo spinato non è servito ad arginare il flusso dei migranti. "È una situazione così complessa – dice Bálint Vadász – che è estremamente difficile ora indicare delle vie concrete di soluzione. E proprio per la complessità della emergenza che chiediamo ai media di fare bene il loro lavoro dando informazioni reali di quanto sta succedendo e non interpretando la realtà, a seconda del canale a cui si appartiene". La Caritas ritiene anche molto importante "dare informazioni dirette ai migranti nei paesi di provenienza, in modo da informarli bene su cosa li aspetta se intraprendono un viaggio che, purtroppo, non dà loro alcuna garanzia di riuscita".

Prosegue intanto senza sosta l’impegno della Caritas Ungheria a favore dei migranti. Infatti, prendere in questi giorni un appuntamento telefonico con gli operatori è un’impresa non facile. Bálint Vadász e il direttore della Caritas Richard Zagyva sono appena tornati da una visita dai campi profughi di Nagylak e Kiskunhalas, nell’ambito di un progetto realizzato in accordo con il governo, per verificare lo stato dei campi e le necessità a cui rispondere. "Si tratta per lo più di richieste di bottiglie di acqua, vestiti, scarpe e prodotti per l’igiene", racconta Bálint. Un totale di 4mila chili di aiuti umanitari e 10mila bottiglie di acqua minerale. Il segno di una situazione difficile e complessa che la Chiesa ungherese sta seguendo e accompagnando con preoccupazione ma anche con solidarietà concreta.