Calamità
Sono 660 le vittime e 28.911 le persone sfollate. Monsignor Lorenzo Voltolini, arcivescovo di Portoviejo, la diocesi più colpita dal sisma, ricorda che “la Chiesa, fin dall’inizio della emergenza, ha provveduto ad accogliere i senzatetto, distribuire acqua e viveri ai più bisognosi”. Tuttavia, avverte, “il Governo non permette che gli aiuti arrivino subito a destinazione. Alle frontiere sono requisiti i beni trasportati e si mandano a un capannone comune di proprietà dell’esercito. Molte istituzioni chiedono espressamente che la Chiesa riceva e distribuisca acqua e vivande, ma questo è impedito”. Appello della Caritas per un gemellaggio tra le diocesi del Paese e la parrocchie colpite dal sisma
È passato un mese esatto dal terribile terremoto che ha colpito l’Ecuador, causando, secondo i dati aggiornati della Caritas, 660 vittime e 28.911 persone sfollate. Quanto accadde alle 18.58 del 16 aprile e nei giorni seguenti rimarrà scolpito nella memoria di monsignor Lorenzo Voltolini, arcivescovo di Portoviejo, la diocesi più colpita dal sisma unitamente a quella, più settentrionale, di Esmeraldas. Il presule, bresciano di origine, non riesce ad esempio a dimenticare “quel papà che ha perso a Manta la moglie, i due figli, la suocera e un nipote o quella famiglia che è stata distrutta proprio mentre il padre cercava di mettere la macchina in sicurezza, perché si trovava vicino a un palo della luce pericolante… Ma la casa davanti alla quale si era fermato è crollata, seppellendo quanti si trovavano nell’auto”. Il sollievo di non aver perduto neppure un sacerdote diocesano si confonde con il dolore per le religiose morte: una suora Mercedaria e una suora e cinque postulanti delle Serve del Focolare della Madre. In generale, mons. Voltolini ricorda che “la tragedia avrebbe potuto essere sicuramente molto piú grande se il cataclisma si fosse verificato in un giorno feriale e in orario scolastico”.
Piano di ricostruzione da parte della Caritas. Intanto, a un mese di distanza, il programma di ricostruzione comincia a prendere forma, pur tra qualche difficoltà, in parte dovuta anche alle modalità organizzative volute dal Governo. Nei giorni scorsi la Caritas – Pastorale sociale dell’Ecuador ha elaborato un piano per gli aiuti e la ricostruzione che ha ricevuto il via libera dei vescovi ecuadoriani. “Il terremoto – si legge nel bollettino elaborato da Caritas Ecuador – ha provocato grandi danni nel 70 per cento della provincia del Manabí, molte parrocchie e case distrutte nella provincia di Esmeraldas ed un danno psicologico incalcolabile”. La fase della prima emergenza non è ancora terminata: nel Manabí “si sta cercando di recuperare tende e alloggi di emergenza per cercare di riunire le famiglie in piccole comunità”. Padre Silvino Mina, della Caritas della diocesi di Esmeraldas, fa notare che “i campi di accoglienza sono ancora in fase di attuazione, ce ne sono solo un paio. Noi stiamo lavorando con il Governo e dobbiamo collaborare a montare questi campi di accoglienza”. Intanto “stiamo aiutando le persone che sono dislocate in piccole tende e piccoli ricoveri di fortuna. Li assistiamo con il cibo e con le medicine”. Si tratta, spesso, di asili precari, che i terremotati si sono costruiti da soli. Caritas Ecuador lancia poi l’idea di un gemellaggio tra le diocesi del Paese e la parrocchie colpite dal sisma.
Il Governo “centralizza” gli aiuti, la Chiesa chiede più libertà. Da mons. Voltolini arrivano ulteriori notizie di prima mano, unite a una preoccupazione per le modalità scelte dal Governo per gestire gli aiuti: “La Chiesa, fin dall’inizio della emergenza, ha provveduto ad accogliere per i senzatetto, distribuire acqua e viveri ai più bisognosi. Il Banco de Alimentos ci ha mandato immediatamente un contenitore immenso di acqua e cibo; i primi ad adoperarsi per la distribuzione sono stati i parroci di Portoviejo, poi son arrivati anche i volontari. L’esempio di molti sacerdoti è stato veramente bello e coraggioso. Nelle cittadine più piccole, i parroci sono stati e lo sono ancora, i veri organizzatori dei primi soccorsi”. Prosegue l’arcivescovo di Portoviejo:
“Le Caritas del mondo si sono mosse; purtroppo il Governo non permette che gli aiuti arrivino subito a destinazione. Alle frontiere sono requisiti i beni trasportati e si mandano a un capannone comune di proprietà dell’esercito. Molte istituzioni chiedono espressamente che la Chiesa riceva e distribuisca acqua e vivande, ma questo è impedito. Ci sono state fatte promesse, ma non mantenute”.
Certo, non sono mancati nei primi giorni casi di spontaneismo eccessivo nel portare aiuto alla popolazione. E mons. Voltolini riconosce che “l’organizzazione statale sta facendo la sua parte: ha riattivato la luce, ha fatto arrivare mezzi di sgombero, sta facendo una valutazione sulla stabilità degli edifici”. Resta però il fatto che “la Chiesa vorrebbe che ci fosse più libertà nel fare il bene. In alcune occasioni ho detto alle autorità: vogliamo essere liberi di distribuire i generi di prima necessità, mediante le parrocchie e le piccole comunità. La nostra rete ecclesiale conosce molto bene le necessità e sa chi è nell’indigenza”.
Chiese e strutture parrocchiali da ricostruire. Non manca la preoccupazione per la ricostruzione di chiese e strutture parrocchiali: “Molte chiese sono state severamente danneggiate, alcune in modo irreversibile. Altre, invece dovranno essere messe in sicurezza, ma serviranno molte spese. Purtroppo molti pensano che la Chiesa è ricca e rifarà le sua chiese con propri mezzi. Auspico che tutti si rendano conto della funzione eminentemente sociale della Chiesa”. Non manca, in conclusione, un messaggio di speranza: “Sta avendo grande successo il lavoro portato avanti dal missionario della Misericordia che abbiamo in diocesi. È anche psicologo e ha formato una bella squadra di persone che animano spiritualmente la gente e i gruppi perché superino il momento difficile.
Accoglienza e Misericordia é il motto del nostro piano pastorale. Non l’abbiamo cambiato, perché ci é sembrato il più appropriato per vivere e vincere la tentazione dello scoraggiamento”.