Il commento

Unioni civili: il vero “voto di fiducia” serve alla famiglia

Dopo l’approvazione delle unioni civili, la peculiarità di generatività e quindi di vita e futuro della famiglia dovrebbe essere il motore per vedere rafforzato il suo ruolo nella società moderna, con politiche di sostegno, con fiscalità di vantaggio, con servizi all’altezza. Su questo si vorrebbe vedere una nuova e decisa richiesta di “voto di fiducia”, senza contrapposizioni che attaccano sul fronte del referendum costituzionale come fosse merce di scambio o addirittura con iniziative referendarie contro la legge appena approvata: non è con l’abolizione di una legge ad alto tasso politico che si otterrà un rafforzamento della politica familiare, che necessita invece e solo di un alto tasso di concretezza

Vaticano, 27 dicembre 2015: Giubileo della famiglia

Lo scorso 11 maggio la Camera ha definitivamente approvato il disegno di legge n.3634: “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”. Il testo attende di essere promulgato dal presidente della Repubblica per trovare successivamente pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. La legge si compone di 1 articolo per 69 commi. In verità il Governo ha trasformato gli originari 69 articoli in uno (formalmente) unico in modo da consentire il voto di fiducia. La stessa modalità usata anche per la “buona scuola” ma soprattutto per le legge di bilancio. Probabile che il presidente della Repubblica non gradisca questa modalità di voto su temi eticamente sensibili, tuttavia è improbabile che non promulghi la legge vista l’ampia maggioranza ottenuta dalla stessa.

Il voto di fiducia evidenzia la scelta politica fatta in relazione ad una legge che sdoganerebbe il governo a sinistra ma lo espone alla critica centrista e dei movimenti che chiedono da tempo un deciso voto di fiducia su una legge sulla famiglia a partire magari dal vantaggio fiscale che ancora latita. Per dare corso alle unioni omosessuali sarebbe bastato introdurre previsioni contrattuali fra le parti esattamente come si è previsto per le convivenze al comma 50 della legge. Come dire: se decidi di vivere stabilmente con quella persona potrai stabilire accordi contrattuali a contenuti predeterminati sanciti dalla legge. Si è voluto invece andar oltre inseguendo le istanze più spinte dei movimenti Lgbtq.

La discussione che è mancata in aula si è svolta nell’opinione pubblica ma con fiammate polemiche e senza approfondimenti verticali. Una fra tutte avrebbe richiamato una sorta di obiezione di coscienza dei sindaci al fine di non celebrare i matrimoni fra persone dello stesso sesso. Tuttavia sarebbe bastato leggere l’articolato con attenzione per sapere che la legge non attribuisce questo potere ai sindaci ma semmai agli ufficiali di anagrafe. In ogni caso, mentre l’art. 106 del codice civile stabilisce che il matrimonio venga celebrato pubblicamente, il comma 2 della legge appena approvata richiede una semplice dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni proprio a causa del fatto che non esiste alcuna pubblicità cerimoniale.

In verità conta molto quello che non è detto o si è detto poco.

Questa legge introduce nel nostro ordinamento una sorta di polimorfismo delle relazioni di coppia

che cambia radicalmente l’italico diritto di famiglia: ora accanto al matrimonio (civile e religioso) si avrà anche l’unione fra persone dello stesso sesso (sostanzialmente parificata al matrimonio) e la istituzionalizzazione della convivenza di fatto fra persone maggiorenni. L’unione comporta comunione dei beni, assistenza morale e materiale, coabitazione. Non viene richiamato l’obbligo della fedeltà che invece contraddistingue il matrimonio. Non viene nemmeno richiamata la collaborazione nell’interesse della famiglia, confermando implicitamente che non si sta parlando di questa. L’unione poi si scioglie una volta decorsi tre mesi dalla semplice manifestazione di volontà davanti all’ufficiale di stato civile. Il comma 20, a differenza di quanto evidenziato in termini di differenza dal matrimonio, effettua un’operazione di sostanziale equiparazione al matrimonio applicando a questa nuova “specifica formazione sociale (art. 1 comma 1)” le disposizioni che si riferiscono al matrimonio al fine di assicurare all’unione l’effettività della tutela dei diritti ed il pieno adempimento degli obblighi. In caso di rettificazione del sesso si determinerà lo scioglimento dell’unione. In caso di rettificazione del sesso in corso di matrimonio, con il consenso dei coniugi, il medesimo si trasformerà in unione (commi 25 e 27).

Le convivenze di fatto si hanno invece fra persone maggiorenni stabilmente legate da vincoli affettivi e di reciproca assistenza che effettuano la dichiarazione anagrafica prevista dalla legge. Vengono parificati i diritti di cui dispongono i coniugi in ambito carcerario, in ospedale, nel subentro nella locazione dell’immobile in caso di morte del compagno, o nella permanenza presso la casa di proprietà del compagno premorto per un massimo di cinque anni e proporzionalmente alla durata della convivenza. I rapporti patrimoniali potranno invece essere regolati per via contrattuale e il contratto potrà essere risolto per accordo delle parti, con la possibilità che il giudice statuisca il diritto del convivente di ricevere il mantenimento qualora uno dei due partner versi in stato di bisogno. Si tratta di questioni che la giurisprudenza aveva da tempo regolato e che ora trovano regolamentazione normativa dando rilevanza giuridica alla certificazione anagrafica che da sola costituirà il fondamento del rapporto tra partner (dello stesso sesso o di sesso diverso) che potranno dare rilevanza patrimoniale al loro rapporto dando spazio a specifiche previsioni contrattuali. Esattamente la soluzione generale che poteva rispondere ai bisogni delle unioni diverse da quelle matrimoniali ma che non rispondeva, evidentemente, al bisogno dei movimenti Lgbt di vedersi riconosciuti socialmente.Il Governo ha evitato lo strappo con l’ala centrista della maggioranza provvedendo a stralciare dalla legge sulle unioni l’istituto dell’adozione del figlio del partner che avrebbe comportato il rischio di aprire il nostro ordinamento alla pratica dell’utero in affitto per poi consentire l’adozione alle coppie omosessuali, stabilendo così la primazia dei pretesi diritti degli adulti per prevaricare su quelli dei figli di poter vivere con il proprio padre e la propria madre. Non accettando l’idea che

la vita è un dono e che la sessualità trovi la massima espressione in ciò che non sei ma che trovi nell’altro, differente da te, che ti completa e che è volto all’amore generativo.

Il tema è se davvero le unioni omosex rappresentino una specifica formazione sociale ai sensi degli art. 2 e 3 della Costituzione addirittura assumendo, nella legge appena approvata, un peso maggiore rispetto alle convivenze di fatto fra persone di sesso diverso, che pur assumono profili di maggiore somiglianza con la famiglia che invece è certamente una formazione sociale di rilievo costituzionale attesa la sua peculiarità di generatività e quindi di vita e futuro per la società. Proprio questo profilo dovrebbe essere il motore per vedere rafforzato il suo ruolo nella società moderna, con politiche di sostegno, con fiscalità di vantaggio, con servizi all’altezza. Su questo si vorrebbe vedere una nuova e decisa richiesta di “voto di fiducia”, senza contrapposizioni che attaccano sul fronte del referendum costituzionale come fosse merce di scambio o addirittura con iniziative referendarie contro la legge appena approvata: non è con l’abolizione di una legge ad alto tasso politico che si otterrà un rafforzamento della politica familiare, che necessita invece e solo di un alto tasso di concretezza.

(*) La Vita del popolo (Treviso)