Arte
Don Andrea Lonardo, direttore dell’Ufficio catechistico di Roma nonché esperto d’arte e di storia della Chiesa, suggerisce una nova interpretazione: “Solamente guardando dall’altare della Cappella Paolina la Crocifissione di Pietro, dipinta da Michelangelo, ci si accorge che il primo degli apostoli si volge, prima di morire, a contemplare l’Eucaristia”. E Caravaggio deve avere a lungo contemplato i due affreschi del suo anziano predecessore, tanto da volerli replicare, reinterpretandoli a sua volta, in quella che si può definire la “Paolina in piccolo”: la Crocifissione di Pietro della Cappella Cerasi, a Santa Maria del Popolo.
“Solamente guardando dall’altare della Cappella Paolina la Crocifissione di Pietro, dipinta da Michelangelo, ci si accorge che il primo degli apostoli si volge, prima di morire, a contemplare l’Eucaristia”. E’ l’impressionante scoperta artistica fatta da un sacerdote proprio mentre si trovava recentemente a concelebrare nel luogo più conosciuto del Buonarroti dal pubblico profano, dopo la Cappella Sistina. Nel raccontarcelo don Andrea Lonardo, direttore dell’Ufficio catechistico di Roma nonché esperto d’arte e di storia della Chiesa, è cosciente di ribaltare l’interpretazione finora prevalente dell’opera, o meglio dello sguardo del protagonista – Pietro appunto – tradizionalmente considerato rivolto verso chi accede dalla porta di ingresso. Michelangelo, invece, dipinse gli occhi di Pietro crocifisso che si rivolgono all’altare, al Papa celebrante e all’Eucarestia:
“Le sue pupille non fissano chi entra, ma piuttosto il cuore della Cappella, dove si celebra e si conserva l’eucaristia”,
la scoperta, che a pochi giorni dalla festa del Corpus Domini porta la nostra attenzione sul fatto che per Michelangelo “il punto di vista liturgico è il più importante: Pietro muore guardando alla celebrazione eucaristica e al Papa vivente che la celebra o la adora nella Paolina”. E questo la dice lunga non solo sui rapporti tra l’autore della Sistina e Giulio II, ma anche sulla devozione eucaristica del Buonarroti, che dedicò alla realizzazione della Cappella Paolina più di sette anni, dal 1542 al 1550: la iniziò ultrasessantacinquenne e la terminò ultrasettantenne, quando appena sceso dai ponteggi della Sistina vi risaliva immediatamente per i due affreschi della Paolina. Erano gli anni, quelli, in cui Michelangelo lavorava contemporaneamente agli affreschi della Paolina, alla tomba di Giulio II e alla basilica di San Pietro con la sua cupola.
E in quel luogo si recò 50 anni dopo un altro frequentatore assiduo del palazzo papale, che del suo maestro porta il nome di battesimo: Michelangelo Merisi da Caravaggio. Deve avere a lungo contemplato i due affreschi del suo anziano predecessore, tanto da volerli replicare, reinterpretandoli a sua volta, in quella che si può definire la “Paolina in piccolo”: la Crocifissione di Pietro della Cappella Cerasi, a Santa Maria del Popolo.
Caravaggio, nel dipingere lo stesso soggetto di Michelangelo, fa voltare anche lui lo sguardo di Pietro verso l’Eucarestia.
Basterebbe questo per sgombrare il campo da un’interpretazione del Merisi come pittore esclusivamente “realista” . Anche per lui, come per il suo maestro, il punto di vista è determinante: Pietro non si rivolge a chi entra nella cappella, ma al sacerdote che consacra l’eucarestia. Per don Andrea, “è commovente immaginare Caravaggio nella Cappella Paolina che studia l’opera di Michelangelo, avendo vicino il Papa o i suoi amici cardinali, nel desiderio di reinterpretarla in piccolo nella Cerasi. Caravaggio si accorse che il San Pietro michelangiolesco, morendo, si volgeva all’altare. E decise che il suo San Pietro crocifisso doveva guardare similmente nella medesima direzione”. L’allievo, insomma, cita il maestro. Ma tutt’e due rimandano a qualcosa di più grande. O meglio, indicano Qualcuno che, per gli occhi di chi guarda, rappresenta l’Unico rimando possibile.