NUOVA ANTROPOLOGIA
Dopo più di mezzo secolo e dopo le imponenti scoperte scientifiche che sembrano aver spostato sempre in avanti la frontiera del limite, ricompare ardua la domanda: quale limite è costitutivamente non superabile? Vivere il limite in sintonia con l’eternità di Dio è guadagnare una differente sensibilità sociale, comunitaria ed ecclesiale
Fra le domande, acute e penetranti, presenti nella relazione di monsignor Nunzio Galantino al 36° Meeting di Rimini, spicca un interrogativo: "In che modo una seria assunzione del limite può portare a un rinnovamento dell’esistenza personale e comunitaria?". È la questione che, a metà degli anni Novanta del secolo scorso, subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale e la dolorosa scoperta dei campi di sterminio, si ponevano in Europa filosofi come Sartre, Heidegger, Jaspers. È in quest’ultimo, in particolare, che l’idea del limite ha assunto una valenza ontologica ed esistenziale di grande spessore.Dopo più di mezzo secolo e dopo le imponenti scoperte scientifiche che sembrano aver spostato sempre in avanti la frontiera del limite, ricompare ardua la domanda: quale limite è costitutivamente non superabile? La risposta, che compare fra le righe della relazione di monsignor Galantino, è evidente: il limite rappresenta la finitezza della condizione umana, quella finitudine che, espressa dalla universale mortalità, continua ad essere inevasa nella cultura postmoderna. La cui inquietante deriva non fa che enfatizzare la madre di tutti i desideri: dimenticare il limite per godere di tutto quanto offre il mercato delle emozioni, promettendo l’intensità dell’attimo e l’oblio delle cose transeunti e finite.La prospettiva culturale muta in tal senso in modo radicale: l’assenza di valori condivisi, capaci di orientare scelte personali e sociali, sfalda il tessuto del sentire comune da sempre saturo di coscienza popolare, che ha fatto del limite della condizione umana un deposito di saggezza e di sana accettazione del destino, qualche volta confuso con la provvidenza.Gli antidoti verso questa drammatica perdita stanno nelle pagine di Galantino che, lungi dal suggerire un rassegnato rimpianto verso un passato ormai tramontato, o un apatico desiderio nei confronti di una cultura rinunciataria incline al lassismo morale, indaga sulle possibili alternative che oggi si offrono alla riflessione comune."Ripensare il limite non come ostacolo ma come via di compimento dell’umano" è la sfida dell’antropologia cristianamente ispirata, suggerita dal segretario generale della Cei, che vede nella finitezza un punto di lancio verso l’infinito, che trova nel Figlio di Dio "limitato" dall’incarnazione ma reso eterno dall’amore del Padre, un punto di svolta per assumere il limite – da parte dell’uomo – non come una perdita, ma come una possibilità.La proposta di una "antropologia del limite" non si ferma certo dentro le presunte pareti rassicuranti della fede cristiana, ma ambisce ad ampliare il pensiero sulla condizione umana, tale da consentire una crescita culturale, razionalmente indagata e valida per ogni uomo.Non si spiega infatti perché, fuori dall’orizzonte cristiano, non si possa relativizzare l’idea del limite, spostando sempre in avanti il suo punto estremo e facendo di ogni individuale progetto di vita il valore assoluto. Se il finito è "gettato" sul mondo, perché non sfruttare appieno le sue potenzialità? Perché doversi ricordare ogni volta che la fine incombe su tutti?Non è questa la prospettiva della cosiddetta "etica del finito", che con forza è sostenuta da quanti vogliono superare il limite con i mezzi della scienza, ad esempio pretendendo un figlio ad ogni costo o fissando con l’eutanasia il momento di dominio sul limite dominandolo?La risposta cristiana a queste obiezioni è chiara e aperta ad ogni coscienza umana: il finito (il limite) è un intralcio da superare, senza l’idea di infinito che lo garantisce e lo destina ad una prospettiva eterna. È quanto si precisa in questa relazione, carica di intuizioni filosofiche e religiose di grande suggestione.Vivere il limite in sintonia con l’eternità di Dio è guadagnare una differente sensibilità sociale, comunitaria ed ecclesiale, dal momento che il destino personale viene per sempre segnato dall’attenzione del Signore che regala vita eterna, rassicurando che questo dono non se lo riprende più.