LETTERA DEL SINODO
Per il pastore Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola valdese, non c’è stata chiusura e “chi ha interpretato così non ha nessuna sensibilità religiosa, teologica, filosofica”. E ancora: “Abbiamo incontrato tutti i papi ma lo abbiamo fatto sempre in occasioni ecumeniche. Non c’è mai stata una interlocuzione diretta e soprattutto con il valore delle cose che ci siamo detti oggi”
Il Sinodo metodista e valdese "riceve con profondo rispetto, e non senza commozione, la richiesta di perdono da Lei rivolta". Esordisce così una lettera aperta indirizzata a Papa Francesco dai 180 sinodali riuniti a Torre Pellice per l’annuale Sinodo delle Chiese metodiste e valdesi. È la prima volta che i valdesi scrivono a un Papa che nella lettera chiamano "caro fratello in Cristo Gesù". La missiva è la risposta da parte del massimo organo decisionale delle Chiese valdesi e metodiste alle parole con le quali il Pontefice, lo scorso 22 giugno nella sua visita alla chiesa valdese di Torino, aveva chiesto "da parte della Chiesa cattolica, perdono per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani che, nella storia, abbiamo avuto contro di voi". "Nella Sua richiesta di perdono – scrivono i valdesi al Papa – cogliamo inoltre la chiara volontà di iniziare con la nostra Chiesa una storia nuova". "Le nostre Chiese sono disposte a cominciare a scrivere insieme questa storia, nuova anche per noi". Ma c’è un passaggio nella lettera che è stato interpretato da alcuni come un no’ da parte del sinodo alla richiesta di perdono del Papa. È il paragrafo in cui si dice: "Questa nuova situazione non ci autorizza però a sostituirci a quanti hanno pagato col sangue o con altri patimenti la loro testimonianza alla fede evangelica e perdonare al posto loro". Il pastore Eugenio Bernardini è moderatore della Tavola valdese.
È così? Le vostra lettera è un "no" al Papa?
"È uno svarione incredibile. Evidentemente chi ha interpretato così non ha nessuna sensibilità religiosa, teologica, filosofica. Forse è un passaggio troppo teologicamente raffinato che invece il Papa comprenderà benissimo perché la problematica è nel dibattito dei cristiani ed è stata sollevata molto volte, per esempio nel caso della Shoah. In quel passaggio, noi spieghiamo tecnicamente che è come se si andasse in confessionale e si dicesse al padre che un nostro amico ha commesso un peccato e si pente moltissimo. E gli chiediamo cosa possiamo fare. È chiaro che il padre dirà: fallo venire qui, che parli con me’. Questo per dire che non si può parlare per interposta persona. Quindi per quanto concerne noi, sì, la richiesta di perdono è accettata ma dal punto di vista della procedura penitenziale cattolica è chiaro che questo si situa su un livello di dichiarazione e non su un piano diretto della vittima. Noi personalmente non abbiamo subito quelle tragedie. Sono però letture che dipendono dalla inesperienza. Il clima con solo 6 astenuti (su 180 sinodali, ndr) in un dibattito che è durato varie ore, è stato assolutamente positivo, di volontà di impegno, di desiderio di voltare pagina".
Perché avete sentito il bisogno di scrivere al Papa?
"La lettera è nata spontaneamente nell’ambito della comprensione che abbiamo noi della nostra Chiesa. Il Papa a Torino ci ha molto colpito per i contenuti del suo discorso, tra i quali molto importante la richiesta di perdono per ciò che nel passato la Chiesa cattolica ha fatto subire alla nostra. E a una tale dichiarazione straordinaria, per noi è stato normale chiedere al sinodo che è la nostra massima autorità decisionale, religiosa e teologica, di valutare e rispondere adeguatamente, più di quanto io personalmente avessi già fatto a Papa Francesco. E quindi questa lettera è nata come una risposta meditata, impegnativa perché dice cose impegnative per il futuro immediato".
È la prima volta che i valdesi scrivono a un Papa?
"Che un Sinodo si rivolge direttamente a un Papa, sì. D’altra parte l’anno scorso per la prima volta il Sinodo ha ricevuto un messaggio di saluto al Sinodo, quest’anno è stata la seconda volta. Siamo in un’epoca in cui ci sono tante prime volte. E questo è molto importante".
Ci faccia capire perché è così importante e inedito che i valdesi si rivolgono a un Papa di Roma?
"È importante esattamente come il Papa che si rivolge direttamente ai valdesi dentro una chiesa valdese. Noi abbiamo definito storica la sua visita di giugno a Torino, il superamento di un muro che è durato 800 anni. Nella storia passata, Valdo ha ricevuto dal Papa del suo tempo il divieto di predicare; dal Papa successivo è giunta l’autorizzazione per una crociata che purtroppo ha compreso anche i valdesi. Le condanne sono sempre arrivate con il suggello di un Papa e quindi è chiaro che si è un po’ personalizzata la contrapposizione. Con l’avvento del secolo ecumenico, il Novecento e il Concilio vaticano, abbiamo cominciato un cammino completamente diverso. Abbiamo incontrato tutti i papi ma lo abbiamo fatto sempre in occasioni ecumeniche. Non c’è mai stata una interlocuzione diretta e soprattutto con il valore delle cose che ci siamo detti oggi. È come nelle famiglie allargate: a volte non ci si parla direttamente ma per interposta persona. Adesso ci si parla direttamente in un clima di sincerità ma soprattutto di fraternità e questo è un fatto sicuramente nuovo".
Come si prospetta il futuro?
"Cosa accadrà dopo queste dichiarazioni? Accadrà che quello che stiamo già facendo dovrà essere ulteriormente approfondito. Per esempio, il dialogo che noi stiamo portando avanti da molti anni con l’Ufficio ecumenismo della Conferenza episcopale italiana e che già ha prodotto anche dei fatti concreti. Da questi eventi prendiamo stimolo non solo per andare avanti ma per avere maggiore fiducia. Sostenerci nella diversità ma non più nella conflittualità, credo possa essere utile a noi ma anche alla società italiana".