Società
Una ricerca realizzata nell’ambito del Centro di Ateneo studi e ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica, da cui è stato tratto il volume “L’allungamento della vita: una risorsa per la famiglia, un’opportunità per la società”, punta l’attenzione sugli anziani attivi, grazie a contributi sociologici, psicologici, socio-demografici: il fenomeno è focalizzato e indagato, in particolare per quanto riguarda gli scambi tra le generazioni, il benessere e la soddisfazione, l’uso delle tecnologie multimediali, i comportamenti pro-sociali e di volontariato agiti dagli anziani attivi
Gli anziani non sono da rottamare, anzi possono essere una risorsa preziosa per la famiglia e per la società, se attivano relazioni personali e sociali. Lo rivela una ricerca realizzata nell’ambito del Centro di Ateneo studi e ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica, da cui è stato tratto il volume “L’allungamento della vita: una risorsa per la famiglia, un’opportunità per la società”, a cura di Eugenia Scabini e Giovanna Rossi. L’indagine punta l’attenzione sugli anziani attivi, grazie a contributi sociologici, psicologici, socio-demografici: il fenomeno è focalizzato e indagato – in particolare per quanto riguarda gli scambi tra le generazioni, il benessere e la soddisfazione, l’uso delle tecnologie multimediali, i comportamenti pro-sociali e di volontariato agiti dagli anziani attivi – attraverso la presentazione di risultati emersi da una ricerca quantitativa condotta in Italia su un campione nazionale di circa 900 persone e mediante analisi condotte a livello europeo.
I giovani anziani. “Oggi la condizione dell’anziano è, al contrario di quanto avveniva in passato, molto diversificata – spiega Lucia Boccacin, ordinaria di sociologia all’Università Cattolica, che nella ricerca si è occupata in particolare degli anziani attivi volontari -. Quella che un tempo era la terza età non è affatto un periodo residuale, ma per l’allungamento e il miglioramento della qualità della vita diventa un periodo che copre anche trent’anni”. Gli anziani attivi, indagati dalla ricerca, sono compresi tra i 65 e i 74 anni, differenziati in due fasce di età:
i cosiddetti “giovani anziani” (65-69 anni) e gli anziani in senso proprio (70-74 anni).
“Sempre più spesso accade che persone ultrasessantacinquenni – evidenzia la sociologa – siano attive sia nei confronti dei loro nipoti sia nei confronti dei loro genitori anziani, magari novantenni e, contemporaneamente, operino in campo sociale. Queste persone sono una risorsa all’interno della famiglia e della società, soprattutto nell’ambito delle organizzazioni di volontariato, per lo più costituite da anziani che aiutano altri anziani più avanti in età o che operano in modo intergenerazionale”.
Attivare e coltivare relazioni. Gli anziani attivi che stanno meglio, chiarisce Boccacin, “sono quelli che riescono a bilanciare in modo equilibrato l’impegno all’interno della famiglia – figli e nipoti -, nei confronti del contesto sociale – parrocchia, organizzazione di volontariato -, e quello rivolto alla propria persona. Quando si realizza un bilanciamento, si ha una buona qualità della vita e una soddisfazione personale. L’essere anziani attivi è una risorsa per la famiglia e per la società perché si attivano e si coltivano relazioni con gli altri di diverse generazioni”. In questo modo, si diventa
“un patrimonio prezioso di conoscenza, esperienza e attività prestata”.
“Rischio burn-out”. Non mancano elementi di criticità, come il rischio di “burn-out”, presente soprattutto per le donne:
“Il benessere e la soddisfazione – sottolinea la sociologa – sono molto correlati a raggiungere un equilibrio. Quando, invece, c’è un sovraccarico dell’impegno familiare, magari legato alla cura dei genitori anziani e dei nipoti molti piccoli protratta nel tempo, emerge il rischio che l’impegno sia eccessivo. In alcune aree del Paese questa situazione è praticamente imposta perché il sistema dei servizi, ad esempio per la prima infanzia, è molto deficitario. Questo comporta una ‘obbligatorietà’ della scelta che non aiuta”. Infatti, “mentre l’impegno nel volontariato è scelto, l’impegno familiare, soprattutto nei confronti delle giovani generazioni, a volte è scelto, altre volte mostra minori gradi di libertà. In questi casi, ci sono anziani che desidererebbero un impegno di tipo sociale, ma sono impossibilitati perché il loro tempo è già tutto impegnato”.
È, dunque, “necessario un equilibrio in questo lavoro di ricomposizione esistenziale, ma il messaggio fondamentale è che questa popolazione obiettivamente è una risorsa per la famiglia e per i contesti sociali di riferimento”.
Patrimonio da valorizzare. Come evidenzia l’ultimo censimento Istat sulle istituzioni non profit, in Italia i volontari ultrasessantacinquenni sono oltre 700mila su oltre 4 milioni e 700mila persone che fanno volontariato, cioè il 14,8%. “Si tratta di un dato che segnala un impegno cruciale per il benessere delle persone e della società. Eppure – rileva la professoressa -,
non c’è ancora consapevolezza del patrimonio di competenze personali, di esperienza, di capacità di relazione che gli anziani attivi hanno.
Tutto ciò nei contesti sociali, soprattutto di natura istituzionale, non trova forse la valorizzazione che meriterebbe. Certamente, da questo punto di vista il nostro Paese può fare meglio: ha un cammino davanti da compiere”. Troppo spesso “siamo portati a fare ragionamenti semplicistici, considerando la categoria della terza età solo in termini assistenziali e come un peso. Invece – conclude Boccacin -, rispetto a qualche decennio fa, sicuramente ci sono state grandi trasformazioni, che è importante cogliere”.