Salute
Ciascuno di noi può sperare, statisticamente parlando, di vedersi “allungare” la propria esistenza di 3 mesi l’anno. Il che significa che, considerando un maschio cinquantenne in buona salute, con un’aspettativa di vita al momento attorno agli 80 anni, se procedesse per i prossimi trent’anni senza intoppi, dovrebbe “guadagnare” altri 7 anni e mezzo e arrivare così all’età media statistica di 87 anni e mezzo. Per le donne, più longeve, tale aspettativa salirebbe alla strabiliante età media di 92-94 anni
Secondo i calcoli dei demografi e degli studiosi dei fenomeni sanitari, l’aspettativa di vita nei Paesi occidentali a più alto sviluppo, dove si seguono corretti stili di vita e di alimentazione e dove vengono introdotte nuove medicine e nuove terapie, sta facendo passi da gigante. Ciascuno di noi può sperare, statisticamente parlando, di vedersi “allungare” la propria esistenza di 3 mesi l’anno. Il che significa che, considerando un maschio cinquantenne in buona salute, con un’aspettativa di vita al momento attorno agli 80 anni, se procedesse per i prossimi trent’anni senza intoppi, dovrebbe “guadagnare” altri 7 anni e mezzo e arrivare così all’età media statistica di 87 anni e mezzo. Per le donne, più longeve, tale aspettativa salirebbe alla strabiliante età media di 92-94 anni. Pensate sia fantasia? Sembra di no, o almeno sono convinti che si tratti di una realtà molto “concreta” e verificabile gli industriali italiani del farmaco (riuniti sotto le insegne di Farmindustria, associazione cui aderiscono circa 200 aziende con 65mila addetti). Nella loro assemblea annuale a Roma, svoltasi alla presenza di ministri e autorità scientifiche e sanitarie, hanno snocciolato una serie di dati che
lasciano sperare in questo “orologio della vita” che guarda sempre più in alto e ci sta proiettando – pare nel breve volgere di pochi decenni – verso il traguardo dei 100 anni medi per una larga porzione di umanità.
Tumori, epatite C e Hiv fanno meno paura. Queste prospettive di una vita sempre più sana e più lunga sono sostenute da alcuni dati: anzitutto dagli anni ’80 la mortalità media si è ridotta del 35% (allungando la durata della vita dai 55-60 anni del secondo dopoguerra agli attuali 80-85). Le varie patologie croniche hanno registrato nello stesso periodo una caduta della mortalità del 45%, come mostrano i diversi tipi di tumori (neoplasie) dove la sopravvivenza a 5 anni dalla scoperta e cura è cresciuta dal 39% all’odierno 57% per gli uomini e, per le donne, dal 53 al 63%. In sostanza, se fino a tre decenni fa per un tumore c’erano 6 probabilità su 10 di non sopravvivere se non per pochi mesi, oggi la speranza si è ribaltata: si vive più a lungo e spesso si guarisce o comunque si guadagna una significativa porzione di vita in condizioni discrete. Lo prova anche la presenza dell’Hiv, per il quale negli anni ’80 e ’90 la morte era pressoché certa, mentre oggi il grado di letalità è calato del 90%. Come a dire che di Hiv non si muore quasi più, anche se bisogna rimanere in cura per tutta la vita. Altro spettro terribile era l’epatite C che, una volta contratta, evolveva spesso in cirrosi epatica e in tumore al fegato, con esiti pressoché sempre infausti: ebbene, con le nuove medicine sviluppate negli ultimi 10 anni, la quota di malati che possono essere curati è salita dal 43 al 96%. Un miracolo, quindi, che
è figlio della ricerca scientifica che vede, nel caso italiano, un incremento degli investimenti del 15% e la presenza di 300 prodotti biotecnologici (quelli definiti di ultima generazione) in fase di sviluppo.
Nuove medicine per malattie rare e geni “difettosi”. Si punta, dunque, verso i 100 anni in buona salute. Ma vediamo dove si stanno registrando tali progressi. Ad esempio
il settore della “terapie avanzate” e delle “malattie rare” vedrebbe l’Italia in posizione preminente, anche rispetto alla Germania che è il nostro concorrente più agguerrito su scala europea.
Il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi, ha sottolineato che “il primo farmaco al mondo basato sulle cellule staminali, usato per una patologia rara nella riparazione della cornea, è italiano. Come pure il primo medicinale di terapia genica ex-vivo a livello internazionale, questa volta per curare un gene difettoso”. Stesso discorso per i vaccini, sui quali si è innescato un forte dibattito per la presenza di genitori contrari a far vaccinare i propri figli. Non solo è notevole lo sviluppo dei vaccini, ma anche degli emoderivati, sempre più usati per trattare alcune malattie rare, quali emofilia, angioedema ereditario, immunodeficienze primarie, oltre che nei trapianti. Anche a livello mondiale, del resto, la ricerca fa passi da gigante. Lo scorso anno l’European Medicines Agency (Ema) ha autorizzato 93 farmaci, di cui 70 con nuove molecole o nuove indicazioni terapeutiche. Solo dieci anni fa le novità erano 20. Tra l’altro bisogna considerare che ogni nuovo medicinale è frutto di una lunga storia: 10-15 anni per svilupparlo e fino a 2,5 miliardi di euro di investimenti. Basti pensare che le aziende farmaceutiche sperimentano circa 10mila sostanze, ma tra di loro in media solo una diventa un vero farmaco. Se guardiamo agli Stati Uniti, la Food and Drug Administration (Fda) ha approvato 16 farmaci cosiddetti “first-in-class”, cioè capostipiti di nuove categorie terapeutiche; altri 21 farmaci per malattie rare e 27 cosiddetti “fast track”, cioè in grado di accelerare lo sviluppo di medicinali destinati a esigenze mediche finora insoddisfatte: cioè farmaci-base per sviluppare nuovi farmaci.
Nel mondo allo studio 7mila farmaci. La rivoluzione non si ferma: pensiamo all’Alzheimer e alle demenze senili in genere, molto presenti nei Paesi occidentali a vita sempre più lunga. Ebbene, anche in questo campo così delicato, sono in registrazione anticorpi monoclonali, alcuni dei quali vengono anche sperimentati sui tumori in genere (del tipo carcinoma mammario, al polmone, colon-retto, pancreas, rene e al melanoma) oltre che per l’ipercolesterolemia e per l’asma. Tutto questo senza tener conto che,
su scala mondiale, sono allo studio circa 7mila farmaci che sembrano destinati a farci guardare al domani con una crescente fiducia.
Tale “esercito” di farmaci allo studio riguarda rispettivamente: 1.813 per le neoplasie (tumori), 1.329 malattie neurologiche, 1.256 malattie infettive, 1.120 malattie immunitarie, 599 malattie cardiovascolari, 511 disturbi psichiatrici, 475 diabete e 159 Hiv-Aids.
C’è anche una ricerca cosiddetta “di genere”, che riguarda le donne:
per loro, in particolare, sono allo studio ben 850 nuove medicine. Un ultimo accenno alle “strategie” del settore. Le aziende farmaceutiche oggi contano non solo sulla ricerca scientifica ma anche sulla sempre più larga disponibilità di “dati” (i cosiddetti “big data” contenuti nei computer e nei server pubblici e privati). Disponendo di questi dati sempre più accessibili e classificabili, possono fare innovazione basandosi su percentuali precise di diffusione delle varie patologie e quindi colpire nel segno, senza dispersione di risorse.