Apostolato biblico
La più grande tipografia di Bibbie al mondo, che si trova in Cina, ha stampato la 150.000.000 copia della Bibbia. E in Italia? Don Luca Mazzinghi, presidente dell’Associazione biblica italiana, traccia un bilancio tra luci (molte) e ombre. Tra queste, il fatto che a cinquant’anni dal Concilio “la Bibbia resta ancora un’illustre sconosciuta per moltissimi, troppi cattolici”. Il punto d’arrivo: “una animazione biblica dell’intera pastorale”.
Exploit di Bibbia nel Paese dei Mandarini. La “Amity Printing Company”, la più grande tipografia di Bibbie al mondo, ha recentemente stampato la 150.000.000 copia. Dal suo primo giorno di attività, 28 anni fa, la Apc ha stampato e messo in circolazione ogni anno una media di oltre 5.350.000 esemplari della Bibbia, ma le “commesse” internazionali tra il 2003 e il 2015 hanno registrato un amento impressionante: oggi si esportano in almeno 70 Paesi del mondo, in 90 lingue, e un numero cospicuo di copie sono destinate proprio al mercato interno cinese. E in Italia? Qual è lo “stato di salute” della Bibbia? Abbiamo girato la domanda a don Luca Mazzinghi, presidente dell’Associazione biblica italiana (Abi). Che lancia una provocazione:
“Dobbiamo chiederci se davvero nel popolo di Dio le Scritture riescono ancora a scaldare il cuore, come ai due discepoli di Emmaus. O se quando il Papa parla di Vangelo si trova sempre qualcuno pronto ad accusarlo di essere comunista, come capita appunto a Francesco”.
Che posto occupa oggi la Bibbia all’interno del cammino della chiesa cattolica italiana?
Il Vaticano II, e in particolare la Dei Verbum, ha segnato la fine di una lunga stagione nella quale la Bibbia era stata confinata ai margini della pastorale. Dopo più di due secoli di silenzio, i cattolici possono finalmente riconciliarsi con la Parola di Dio e riscoprirla come fondamento dell’intera vita della Chiesa. In Italia, il breve, ma intenso e poco conosciuto documento dei vescovi italiani pubblicato nel 1995, “La Bibbia nella vita della Chiesa”, attesta in tempi più vicini a noi come il percorso suggerito dal documento conciliare sia in qualche modo recepito all’interno di ogni progetto pastorale. In primo luogo, alla luce del Concilio, la Liturgia ritorna ad essere centrata sull’annuncio della Parola, che non ha più un ruolo marginale nelle nostre celebrazioni.
Pregare con la Bibbia, poi, non sembra più una stranezza, o un pericoloso vezzo protestante.
La Bibbia, infine, ritorna ad essere al centro degli studi teologici: l’esegesi biblica non è più qualcosa che riguarda soltanto gli addetti ai lavori o che addirittura spaventa e tiene lontani dalle Scritture stesse. Sussidi e commenti biblici adatti ad ogni livello e ad ogni tipo di persona si diffondono sempre più tra il popolo di Dio: monasteri, diocesi, gruppi ecclesiali e parrocchie moltiplicano in Italia iniziative di formazione biblica. Tra queste, risalta la forte attività sia scientifica che divulgativa dell’Abi, fondata già nel 1948, prima del Vaticano II.
E nella catechesi?
Ormai si è ben compreso come non si possa prescindere dalle Scritture nel cammino della formazione cristiana. Anche nella catechesi dei bambini si è sviluppata l’intuizione che fu ad esempio di don Lorenzo Milani: il catechismo vissuto come lettura del Vangelo.
Il testo base di ogni cammino catechistico non può che essere la stessa Scrittura, e di fatto molto spesso lo è.
Per quanto riguarda poi la catechesi degli adulti, in molte diocesi italiane sono nate e cresciute moltissime iniziative centrate sull’ascolto, lo studio, la condivisione della Parola. Gruppi biblici, gruppi d’ascolto, scuole della Parola, campi biblici per giovani – basti pensare alle tante tante esperienze nate nell’ambito dell’Azione Cattolica e dello Scoutismo – si diffondono un po’ ovunque in Italia, talora con importanti risvolti ecumenici. La “lectio divina”, a partire dagli anni Settanta, viene riproposta ai fedeli come cammino di vita e di preghiera basato sulle Scritture e si espande anch’essa un po’ in tutta Italia. Senza contare le forme di lettura “laica” della Bibbia, anche sganciate da un diretto contesto ecclesiale, ma spesso molto attente allo studio e alla diffusione di un testo sentito come fondamentale anche per chi non crede, un testo da far conoscere anche nelle scuole, al di là di esperienze confessionali esplicite.
Ci sono ombre, accanto alle luci?
A cinquant’anni dal Concilio, la Bibbia resta ancora un’illustre sconosciuta per moltissimi, troppi cattolici; non di rado si riscontrano ancora opposizioni di principio all’uso della Scrittura nella vita della chiesa, che spaziano dal rinato mondo dei tradizionalisti sino all’esperienza di qualche movimento che ancora vede di fatto nell’uso delle Scritture una deriva protestante. Nonostante il rinnovamento liturgico, poi, l’omelia – un tema al quale papa Francesco ha dedicato grandissima attenzione nella Evangelii Gaudium (nn. 135-144) – non sempre nasce dalla Parola che è stata annunziata nella celebrazione liturgica e non di rado prescinde addirittura da essa. Gli stessi catechisti sono ancora troppo spesso lontani dal testo biblico né sempre si insiste sulla necessità di una loro più ampia formazione biblica.
A un livello più profondo, la lettura della Bibbia appare talora subordinata all’idea che il magistero della Chiesa sia, alla fin fine, superiore alla stessa Parola di Dio e non al servizio di essa, come vuole il concilio Vaticano II: un’idea che una buona parte della gerarchia cattolica non ha ancora contribuito a dissipare, nonostante Papa Francesco.
Non è un caso che proprio dal clero più giovane, e non di rado proprio il più tradizionalista, vengano le maggiori resistenze all’uso della Bibbia da parte dei fedeli laici.
Come proseguire, nella direzione di una “Chiesa in uscita”?
Dobbiamo chiederci se davvero nel popolo di Dio le Scritture riescono ancora a scaldare il cuore, come ai due discepoli di Emmaus. O se quando il Papa parla di vangelo si trova sempre qualcuno pronto ad accusarlo di essere comunista, come capita appunto a Francesco.
Il primo passo è verificare se la Parola di Dio occupi davvero il posto centrale nella nostra attività pastorale; dovremmo poter parlare non semplicemente di una pastorale biblica, ma di una animazione biblica dell’intera pastorale.
L’invito di papa Francesco a tenere sempre il Vangelo in tasca ha colpito, bisogna poi vedere quante persone, dentro o fuori la chiesa, non importa, lo aprano, lo leggano e se ne lascino provocare.