Viaggio apostolico
Nel viaggio in Polonia Papa Francesco non fa sconti agli oltre 1.500.000 giovani presenti alla Messa al Campus Misericordiae. “Potranno giudicarvi dei sognatori”, ma “la Chiesa oggi vi guarda, il mondo vi guarda”. No ai “giovani-divano” e alla “divano-felicità”, sì a “giovani con le scarpe”. “Installate bene la connessione più stabile”, la memoria di Dio “non è un disco rigido”. Gli affacci alla finestra e le altre tappe del viaggio. Appuntamento a Panama fra tre anni
Non fa sconti, il Papa, alla folla sterminata di oltre un milione e mezzo di giovani che lo ha atteso tutta la notte al Campus Misericordiae. Non edulcora la concretezza, a tratti anche drammatica, della vita, come del resto ha fatto nei tre affacci dalla finestra dell’arcivescovado, la stessa di Giovanni Paolo II: “Potranno giudicarvi dei sognatori”. La colpa del “popolo” della Gmg è quella di credere “in una nuova umanità, che non accetta l’odio tra i popoli, non vede i confini dei Paesi come delle barriere e custodisce le proprie tradizioni senza egoismi e risentimenti”. “Non scoraggiatevi”, l’invito di Papa Francesco intriso di fiducia: “Col vostro sorriso e con le braccia aperte voi predicate speranza e siete una benedizione per l’unica famiglia umana”. Già dal suo ingresso ufficiale alla XXXI Gmg, nella cerimonia di accoglienza al Parco Blonia, Francesco aveva cominciato con un attestato di fiducia nei confronti del “volto giovane” della Misericordia:
“La Chiesa oggi vi guarda, il mondo vi guarda, e vuole imparare da voi”. Appuntamento, fra tre anni, a Panama.
Francesco usa Zaccheo, e la sua “bassa statura”, per insegnare ai ragazzi, dal Campus Misericordiae, che “non accettarsi, vivere scontenti e pensare in negativo è come girarsi dall’altra parte mentre Dio vuole posare il suo sguardo su di me”. “Dio conta su di te per quello che sei, non per ciò che hai”: non conta il cellulare o l’abito firmato, Dio “fa sempre il tifo per noi”. Ed è a questo Dio “ultrà” che Francesco consiglia di rivolgersi ogni mattina:
“Signore, ti ringrazio perché mi ami; fammi innamorare della vita”.
No, allora, alla “vergogna paralizzante”: sì, invece, alla “curiosità buona”, quella che ti fa affrontare anche “il rischio di una tremenda figuraccia”. È il rischio il segreto della gioia, come il Papa ha detto tante volte ai giovani: se si rimane fermi, ci si impantana nelle “sabbie mobili del peccato e della scontentezza”, di fronte a Gesù bisogna “mettersi in gioco”, non si risponde con gli “sms”. Il coraggio sta nel dire “no” al “doping del successo ad ogni costo”, al “maquillage dell’anima”. Il consiglio di Francesco ai giovani è in puro stile digitale:
“Installate bene la connessione più stabile, quella di un cuore che vede e trasmette il bene senza stancarsi”. Tra le “chat” quotidiane bisogna mettere al primo posto la preghiera, il Vangelo è il “navigatore”, e la memoria di Dio “non è un disco rigido”.
La Veglia del giorno prima, nello stesso luogo, è un “botta e risposta” con i ragazzi che grazie alla testimonianza di Rand, da Aleppo, fa sì che “per noi, oggi e qui, il dolore, la guerra che vivono tanti giovani, non sono più una cosa anonima, non sono più una notizia della stampa, hanno un nome, un volto, una storia, una vicinanza”.
La Gmg non è un’isola felice, sembra voler sottolineare il Papa facendo continui riferimenti a quello che sta accadendo nel mondo: come quando, in uno dei due “fuori programma” del viaggio – l’altro è stato la visita alla clinica dove è ricoverato il cardinale Macharski -, va nella chiesa di San Francesco e legge una preghiera contro il terrorismo. Ma la paura porta alla chiusura e alla “paralisi”, “uno dei mali peggiori nella vita”.
“Non siamo venuti al mondo per vegetare”, ma per lasciare un’impronta: no alla “divano-felicità” e ai “giovani-divano”, sì a “giovani con le scarpe”, titolari in campo, non riserve.
Come Maciek, il volontario ventiduenne che non è riuscito ad essere a Cracovia perché è morto di tumore poco prima. Il Papa lo ricorda nel suo primo affaccio dal numero tre di via Franciszkanka: gli altri due sono dedicati alle tre parole d’oro per la famiglia – “permesso-grazie-scusa” – e all’eco della giornata della memoria e del silenzio dedicata alla visita dei due campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau:
“La crudeltà non è finita ad Auschwitz”,
dice il Papa dalla finestra. E torna in mente l’immagine-simbolo del 29 luglio, con il terzo Papa a varcare i cancelli del luogo degli orrori più famoso al mondo: a differenza di Giovanni Paolo II, figlio della Polonia, e di Benedetto XVI, figlio della Germania, il primo Papa latinoamericano della storia ha scelto il silenzio.
L’immagine di Francesco che attraversa da solo, a piedi, il famigerato cancello con la scritta “Arbeit Macht frei” resterà una delle istantanee memorabili del suo 15° viaggio internazionale, iniziato all’insegna di San Giovanni Paolo II. Appena messo piede in Polonia, Francesco fa suo “il sogno di un nuovo umanesimo europeo” evocato dal predecessore con l’immagine dell’Europa che “respira a due polmoni”, e sia a Blonia sia al Campus Misericordiae assicura che il Papa polacco “ci guarda dal cielo”.
Nella Messa celebrata al Santuario a lui dedicato a Lagiewnicki, esordisce con una delle esortazioni più famose di Karol Wojtyla:
“Aprite le porte!”.
“Ascoltare, coinvolgerci e farci prossimi”, il triplice imperativo consegnato in occasione della Messa per il 1.050° anniversario della Polonia, in cui a partire dal “filo mariano” che proviene dall’immagine della Madonna Nera di Jasna Gora chiede la grazia della “fantasia nel servire chi è nel bisogno, la bellezza di spendere la vita per gli altri, senza preferenze e distinzioni”. Ha in mente i giovani, i suoi giovani, quelli a cui ha chiesto – durante la Festa degli italiani – di fare “ponti umani” e – nella Messa finale – di fare “ponti primordiali”. Stringendosi le mani, semplicemente. E la “ola” è partita. “Memoria, coraggio, speranza”, la consegna finale ai volontari. Panama, ora, è più vicina.