Intervista

Crisi in Venezuela: presidente vescovi, “si sta affamando un popolo”. Nessun segno di dialogo dal governo

“Non vogliono dialogare con nessuno. Mai vista in tanti anni una situazione così dura: siamo senza cibo e medicine. Bisogna dirlo chiaramente: affamare il popolo è una strategia. E’ l’unico modo che hanno per mantenerlo sottomesso”. Monsignor Diego Rafael Padrón Sánchez, arcivescovo di Cumaná e presidente della Conferenza episcopale del Venezuela, auspica “una soluzione pacifica, democratica” alla crisi umanitaria e politica, anche con la mediazione della Santa Sede, che si è resa disponibile. Ma finora il governo “non ha fatto nessun approccio concreto mediante una lettera o una interlocuzione ufficiale”

“Bisogna dirlo chiaramente: affamare il popolo è una strategia per mantenerlo sottomesso”. Non ha timore di usare parole nette e dure monsignor Diego Rafael Padrón Sánchez, arcivescovo di Cumaná e presidente della Conferenza episcopale del Venezuela. Non ha paura perché non mai ha visto nella sua lunga vita una situazione così drammatica. Per cui non resta altro che denunciare, aiutare e pregare. La popolazione è senza cibo nè medicine, con l’inflazione al 700%, la violenza e la microcriminalità ai suoi massimi storici in un Paese che è già tra i più violenti del mondo: 28.000 omicidi solamente nel 2015. Quella che i venezuelani, cercando di sdrammatizzare, chiamano “la dieta Maduro” è solo l’aspetto più visibile di una crisi umanitaria e politica che il governo di Nicolás Maduro fa finta di non vedere. Lo scorso dicembre l’opposizione ha stravinto le elezioni parlamentari e chiesto un referendum revocatorio del presidente. Dopo settimane di rinvii due giorni fa il Consiglio elettorale nazionale, organo del governo, ha convalidato 200mila firme ma non ha fissato una data per la prossima tappa: la raccolta in soli tre giorni di quattro milioni di firme, pari al 20% dell’elettorato. Solo se si voterà entro il 2016 si potrà andare a nuove elezioni, altrimenti il potere passerà al vicepresidente, mantenendo così lo status quo. Maduro sta prendendo tempo anche con il Vaticano, che si è detto disponibile ad una mediazione. Perfino Papa Francesco, rientrando da Cracovia sul volo papale, ha auspicato la presenza di un rappresentante della Santa Sede nel gruppo di mediazione. Ma dal governo non arriva nessun segnale e il dialogo con i vescovi venezuelani è inesistente. Anzi, nei giorni scorsi c’è stato un fatto nuovo: una campagna di discredito morale della Chiesa sulle reti social, account clonati su Twitter con false informazioni, vandalismo nelle sedi della Conferenza episcopale, per minare la fiducia che gode tra la popolazione.CovRmz2XEAAvjN7Così, “per le tante necessità della nostra patria”, il 2 agosto la Conferenza episcopale ha indetto una Giornata di digiuno e preghiera in tutte le chiese, una iniziativa condivisa anche da altre religioni, con l’hashtag #esportivenezuela. Durante l’ultima assemblea il 7 luglio mons. Padrón aveva già denunciato nella sua prolusione l’indifferenza del governo nei confronti dei bisogni della popolazione, e il rischio di “cadere in una spirale di odio e di morte”.

https://twitter.com/CEVmedios/status/760466237671350273

Il Papa ha a cuore la situazione del Venezuela. Ci sarà una mediazione della Santa Sede?

Dobbiamo ringraziarlo perché ogni volta che dice una parola sul Venezuela per noi è un grande aiuto. Abbiamo avuto tanta solidarietà dai Paesi europei, dagli Stati Uniti. Sentiamo che non siamo soli, abbiamo l’appoggio del mondo. Noi speriamo che il dialogo ci sia, perchè è l’unica via per arrivare ad una soluzione pacifica, democratica e ad un consenso. Ma c’è una grossa difficoltà: il governo finora non ha fatto nessun approccio concreto mediante una lettera o una interlocuzione ufficiale. Perciò la Santa Sede è in attesa di qualsiasi segno positivo.

Il governo non ha intenzione di dialogare?

Penso di no. Perché intende il dialogo come una via di fuga. Dice di essere disposto al dialogo ma al tempo stesso non fa nulla.  C’è un aspetto importante da tener presente. Mancano pochi mesi alla fine dell’anno. In questo periodo il governo può guadagnare tempo per non fare né il dialogo né il referendum revocatorio, spostandolo all’anno prossimo. Il primo verdetto del Consiglio elettorale nazionale sul referendum non è una notizia veramente positiva, perché ha detto che l’opposizione ha ottenuto l’1% delle firme necessarie ma bisogna arrivare al 20%. Ogni volta il Consiglio elettorale deve verificare ogni firma e qui si crea una grossa difficoltà, perché possono passare anche due mesi. Noi non diciamo cose così dure alla nostra gente perché altrimenti si deprimono. Parliamo sempre della possibilità e della speranza di poter arrivare al referendum revocatorio. Ma in realtà non è facile.

E’ in atto una campagna di discredito sui social nei vostri confronti, mentre dei vandali hanno rubato e distrutto in un vostro istituto. Quali conseguenze?

Sì, fa parte di una sporca guerra politica. Il fatto nuovo è l’attacco dal punto di vista morale. Grazie a Dio non ha avuto nessuna conseguenza. Le irruzioni nelle nostre sedi invece accadono spesso. Nella sede della Conferenza episcopale l’anno scorso è successo 14 volte, forse malviventi su commissione. Ma questo ci preoccupa di meno, non è così duro come l’attacco morale.

Ancora non c’è nessun tipo di dialogo tra i vescovi e il governo?

Nessuno. Non vogliono dialogare con nessuno. Meno che mai con la Conferenza episcopale, perché vedono in noi un nemico. Ci accusano di essere ideologizzati, ma noi ci limitiamo a raccontare la situazione reale del Venezuela così com’è realmente. Non inventiamo nulla, riferiamo solo ciò che accade. Mai vista in tanti anni una situazione così dura: siamo senza cibo e medicine. Bisogna dirlo chiaramente: affamare il popolo è una strategia, come accade in altri Paesi del mondo. E’ l’unico modo che hanno per mantenerlo sottomesso. Il paradosso è che noi abbiamo tante risorse ma siamo poveri come tanti Paesi africani.

Come è cambiata la vita quotidiana senza cibo e farmaci?

La vita è cambiata in ogni senso. Non possiamo acquistare i farmaci perché sono troppo costosi. Gli stipendi mensili non bastano mai. Facciamo a meno di tutto. Non c’è zucchero, non c’è burro, latte, formaggi. Mangiamo solo verdure. La carne raramente. A Caracas non si trova nulla e quello che c’è costa tantissimo. Bisogna andare in altre città a cercare cibo o tentare di passare la frontiera con la Colombia, che però è stata di nuovo chiusa.

Cosa la addolora di più?

Abbiamo chiesto al governo, in modo formale, l’autorizzazione per poter far entrare farmaci e cibo dall’estero ma non hanno voluto. Promettono di superare questa situazione con aiuti esterni. Sono sicuri che tra 15 giorni arriveranno aiuti dalla Cina, con navi che porteranno cibo. Secondo noi non è sufficiente perchè la gestione è comunque nelle mani dei militari, che sono bravi nell’ordine, nella disciplina, ma non sanno come risolvere il problema economico. Alla fine falliranno, come tante altre volte.