Turchia
Nell’intervista concessa a Rai News il presidente turco ne ha per tutti, Ue, Italia, accordo sui migranti, reintroduzione della pena di morte e via dicendo. Ma il meglio di sé lo offre quando deve difendere il figlio Necmettin Bilal indagato dalla Procura di Bologna. “Mio figlio è un uomo brillante e viene accusato di riciclaggio di denaro. Che si occupino di mafia in Italia e non di mio figlio”. Recep Tayyip Erdogan come Tommaso Maffettone, protagonista del film “I figli… so’ pezzi ‘e core”. Ciascuno a modo suo, ma tutti e due premurosi e amorevoli, pronti a difendere i propri figli. Una sceneggiata in salsa turca. Stonata.
Recep Tayyip Erdogan come Tommaso Maffettone, protagonista del film “I figli… so’ pezzi ‘e core”. Ciascuno a modo suo, ma tutti e due premurosi e amorevoli, pronti a difendere i propri figli. Rispettivamente Necmettin Bilal Erdogan e Feliciello. Di quest’ultimo sappiamo come è andata a finire: ritrovato anni dopo dal padre naturale, uomo facoltoso, viene per questo strappato suo malgrado al buon Tommaso che pure lo aveva cresciuto con tanto amore. Di Bilal Erdogan, invece bisognerà attendere l’esito delle indagini condotte dalla Procura di Bologna per riciclaggio. Indagini che hanno mandato su tutte le furie il padre, Recep Tayyip che, in una intervista esclusiva a Rai News, a proposito del figlio, ha dichiarato: “Se tornasse in Italia potrebbe essere arrestato, perché c’è un’inchiesta aperta nei suoi confronti. Perché? Non c’è una risposta. E quando tu chiedi perché non ti rispondono. Mio figlio dovrebbe tornare a Bologna per terminare il dottorato. In quella città mi chiamano dittatore e fanno cortei per il Pkk. Perché non intervengono? È questo lo Stato di diritto? La sua vicenda potrebbe mettere in difficoltà persino le nostre relazioni con l’Italia. Mio figlio è un uomo brillante e viene accusato di riciclaggio di denaro. Che si occupino di mafia in Italia e non di mio figlio”. Parole che non hanno certo il sapore della sceneggiata napoletana. Tutt’altro.
Dopo il fallito golpe del 15 luglio scorso, Erdogan ha avviato un repulisti interno impiegando metodi repressivi, mostrando una deriva di tipo autoritaria che sta allontanando la Turchia dal concetto convenuto di civiltà e del diritto.
L’intervista di Rai News, per nulla compiacente, diventa per il presidente turco occasione per polemizzare con l’Europa e con il suo rappresentante Estero, Federica Mogherini, “Cosa farebbe se vedesse il suo Parlamento distrutto?”, per dibattere sulla pena di morte – richiesta a suo dire dal popolo e che se reintrodotta avvicinerebbe la Turchia a Paesi come Arabia saudita, Iran, Bielorussia, Stati Uniti, Cina, Kuwait, Repubblica Dominicana e Bahamas – e per lanciare nemmeno troppo velate minacce circa il rispetto dell’accordo sui profughi che, è bene ricordarlo, è costato all’Ue qualcosa come 6 miliardi di euro. Insomma, un Erdogan furioso. Ancor più davanti al rischio, per il rampollo del Sultano, di essere arrestato se dovesse rimettere piede sul suolo italico.
Bene ha fatto la giornalista Rai a ricordare al presidente turco la presunzione di innocenza che vige in Italia. Ma a quanto pare non è bastato a rassicurarlo.
Per lui la Procura di Bologna deve indagare solo sulla mafia. Punto. Invito rispedito al mittente da un piccato premier Renzi che ha ricordato a Erdogan che “i giudici italiani rispondono alla Costituzione italiana e non al presidente turco. Chiamiamo questo sistema ‘Stato di diritto’ e ne siamo orgogliosi”. “I figli… so’ pezzi ‘e core”, cantava Tommaso Maffettone, con la voce intonata di Mario Merola. La “cover” turca del brano napoletano, cantata da Erdogan, invece, appare stonata. Stonata tanto quanto le decisioni post golpe assunte dal presidente turco che sulle questioni di diritto, oggi, non sembra essere una autorità credibile.