Disagio

Terremoto: ascolto e presenza la ricetta per aiutare i bambini

È grande l’impegno profuso, dal primo momento del sisma, da pediatri e psicologi, che, con  professionalità ed empatia, sono accanto ai bambini per aiutarli a ritornare lentamente alla vita. Le conseguenze del trauma possono farsi sentire anche a distanza, anche per quei piccoli che non hanno vissuto in prima persona quei tragici momenti, ma hanno guardato le immagini in televisione

La paura che la terra si apra sotto i piedi. Il sentirsi traditi dalla natura. La tendenza a chiudersi in se stessi. Sono alcune delle reazioni che i bambini, e non solo, possono avere dopo un evento traumatico come il terremoto. Grande è l’impegno di pediatri e psicologi per essere accanto ai piccoli che hanno subito lo choc del sisma, non solo nei primi giorni dell’emergenza, ma anche in tempi più lunghi. Infatti, le conseguenze del disagio possono manifestarsi anche più tardi. Non solo: i sentimenti negativi non riguardano esclusivamente i bambini direttamente coinvolti nel terremoto, ma anche quelli che da casa, attraverso le immagini rilanciate dalla televisione, hanno in qualche modo partecipato al dramma.

Non nascondere nulla. “Non esiste una ricetta giusta da utilizzare con tutti”: Pietro Ferrara, referente della Società italiana di pediatria (Sip) per le tematiche connesse a maltrattamento e abuso, non ha dubbi. “La reazione – afferma – è differente da bambino a bambino. In generale,

è opportuno non nascondere nulla, spiegando cosa è successo realmente.

Occorre parlare della morte o di un disastro in maniera corretta, aiutando i piccoli a comprendere. A quelli in età prescolare bisogna far capire che non devono provare vergogna e sensi di colpa se hanno paura perché è normale in situazioni di difficoltà. Inoltre, serve dare prospettive positive, come il mostrare che, nonostante tutto, i familiari stanno bene, o, quando ciò non è possibile proprio per la perdita di un caro, il far capire che si tratta di un momento transitorio e che non saranno mai soli”. Noi pensiamo sempre all’impatto che hanno subito i bambini coinvolti nel sisma, ma “dovremmo pensare anche a quei milioni di bambini che subiscono un impatto indiretto attraverso le immagini e che possono provare a distanza effetti simili, anche se in dimensioni diverse”.

L’attenzione massima resta per i bambini terremotati. “Noi pediatri abbiamo una grande responsabilità. Adesso, sull’onda dell’emozione c’è tanta gente attorno a questi ragazzi, ma tra un mese e mezzo non sarà più così.

Compito nostro è identificare nel tempo chi necessita assistenza.

I segnali di disagio vanno interpretati: non solo l’ansia, ma anche comportamenti di tipo regressivo, ad esempio, bagnare il letto, voler dormire nel lettone con i genitori, la ricerca spasmodica di una figura di riferimento, il calo di rendimento scolastico, l’isolamento dagli altri, il silenzio ostinato, la paura degli estranei, atteggiamenti autolesionistici, il ripetere ossessivo nei giochi di scene del terremoto. Come per altre forme di disagio e di stress, i segnali più importanti si vedono a distanza. Bisogna saperli intercettare. L’aiuto psicologico, a parte quello affidato a specialisti, può venire anche dal pediatra, che accompagna il bambino nella sua crescita”. Per Ferrara,

“l’unica ricetta valida è la presenza”.

Sul campo. Luciano Basile, pediatra di famiglia che opera nel Reatino e aderente a Pediatria per l’emergenza onlus, è subito accorso con altri medici della provincia nei luoghi del sisma. “Fin da subito l’Asl di Rieti ha istituito un ‘Pass’ (posto di assistenza socio-sanitaria) nel comune di Accumoli e uno lo sta costruendo nel comune di Amatrice – racconta -. Nei Pass si alternano pediatri e medici di famiglia, psicologi e altri specialisti. Nelle tendopoli monitoriamo una quarantina di bambini, ma ci muoviamo anche per raggiungere le numerose frazioni di montagna, che non sono raggiungibili con le auto perché le strade sono dissestate. Ci muoviamo con l’aiuto di alcuni motociclisti che si sono resi subito disponibili ad accompagnare i medici in queste frazioni, in modo da controllare le condizioni di salute di anziani e bambini e portare farmaci”. I bambini, coinvolti nel sisma, sottolinea Basile, “cominciano a manifestare la sindrome da stress da disastro. Perciò, collaboriamo con gli psicologi presenti nei luoghi del terremoto”.

La forza della comunità. “In questo momento di grande sofferenza i bambini tendono a chiudersi, non trovando adulti che possano dare loro le giuste attenzioni perché essi stessi provati, smarriti, confusi. Ecco perché fin da subito ci siamo attivati con squadre di esperti”. Lo dichiara Michele Grano, vice presidente degli psicologi per l’emergenza del Centro Alfredo Rampi onlus e coordinatore del gruppo degli psicologi che stanno operando ad Amatrice.

“Ricorrente è la paura che la terra si apra, come emerge dai disegni, dai racconti e dai giochi.

È importante dare ascolto e dignità a queste paure – evidenzia lo psicologo -. L’errore che noi adulti facciamo è rassicurare i bambini con le nostre categorie razionali. Il primo passo è far sentire il piccolo accolto e capito”. Rispettando i tempi del lutto e del dolore, “cerchiamo di ripristinare un ritorno alla quotidianità. I bambini sono i più fragili e indifesi, ma, al tempo stesso, sono quelli che ci insegnano a reagire perché dentro di loro hanno le risorse per andare avanti”. Principalmente, prosegue Grano, “ci stiamo occupando della tendopoli di Amatrice allestita dalla regione Lazio, ma stiamo cercando di avere una mappatura dei bambini presenti negli altri campi e nelle zone limitrofe. In totale siamo una ventina di psicologi, di varie associazioni, ad operare nei luoghi del terremoto”. Lo specialista annuncia anche che “gli psicologi del Centro Rampi attiveranno a breve due punti di Sos psicologico a Roma per i bambini e le famiglie, che si trovavano in vacanza dove c’è stato il sisma”. In realtà, “bambini, e anche adulti, se adeguatamente supportati, hanno dentro di sé le risorse per ritornare alla vita. Molto spesso anche in situazioni così dure si riesce a trasformare il dolore nel motore per andare avanti. È importante anche attivare le reti familiari e sociali. Sento che nei luoghi del sisma c’è una grande forza della comunità:

l’essere colpiti ma affratellati, nella consapevolezza che insieme si può risorgere, permetterà al territorio e alle singole persone di andare avanti”.