Terremoto in Centro Italia
A un mese dalla scossa sismica delle 3.36 del 24 agosto che ha portato morte e distruzione nel Centro Italia, ad Amatrice, il comune del reatino che ha pagato il maggior tributo di vittime, il vescovo di Rieti, monsignor Pompili, ha celebrato una messa di suffragio. Forte l’invito a riprendere il cammino, “un atto dovuto” a chi non c’è più e a chi è rimasto, come la piccola Alessia, battezzata durante la celebrazione. La ricostruzione non passa solo per le Istituzioni ma anche per “le nostre mani che non possono restare inerti o nostalgiche, ma debbono ritrovare l’energia e la voglia di ricostruire insieme”. Piangenti ma non piagnoni, il monito del vescovo
“In questo interminabile mese che ci lasciamo alle spalle mi sono chiesto spesso che cosa ci direbbero quelli che non sono più tra noi. Non ho trovato una risposta puntuale, se non immaginaria. Ho percepito però un grido che sale dalle tante, troppe, vittime di questo evento catastrofico: non siate superficiali!”: è ripartito da quella drammatiche ore, le 3.36, del 24 agosto, monsignor Domenico Pompili, vescovo di Rieti, celebrando questa mattina, ad Amatrice, la messa per le vittime del terremoto in Centro Italia. Un mese esatto dopo la tragedia che ha provocato 297 vittime, molte delle quali proprio nel piccolo centro del reatino. Una celebrazione sentita, partecipata da centinaia di fedeli presenti nella tensostruttura appositamente realizzata. Le immagini del Cristo, povero di Croce, sospeso sopra l’altare e della Madonna, le stesse dei funerali del 30 agosto, sono tornate anche in questa occasione ricreando quel clima di grande compostezza e dignità che già si era respirato il giorno delle esequie, sebbene queste furono precedute da forti polemiche circa il luogo dove dovevano tenersi. Con gli sfollati del terremoto anche tantissimi volontari e operatori della Protezione civile, dell’Esercito e delle tante altre Forze presenti ad Amatrice e Accumoli che dal 24 agosto, sono fedeli compagni di viaggio della gente di qui.
Le parole di monsignor Pompili sono per chi non c’è più, per coloro che oggi sembrano ripetere ai sopravvissuti le parole del Qoelet: “non separate mai la giovinezza dalla vecchiaia, l’istante dall’eternità, l’energia dal senso: in altre parole la vita dalla morte.
Non commettete l’errore di riprendere tutto come se nulla fosse accaduto! Qualcosa è cambiato e definitivamente. Ma non è l’ultima parola”.
Non spetta al sisma l’ultima parola ma a chi è rimasto come la piccola Alessia, di pochi mesi, battezzata durante la messa. Monsignor Pompili l’ha definita “simbolo della nostra speranza”, colei che “spinge in avanti le lancette dell’orologio ferme alle 3.36 del 24 agosto”. Il presule, che sin dai primi momenti è stato in mezzo alla gente di Amatrice e Accumoli, ha esortato i fedeli “a contare i nostri giorni per acquistare un cuore saggio”, parafrasi del Salmo 90. Di quale cuore si tratta? “Di un cuore che sa ascoltare senza fretta il dolore che permane e logora tutti, introducendo a piene mani stanchezza, impotenza, rabbia. La saggezza, al contrario – ha spiegato monsignor Pompili -, ci fa lucidi, vigilanti, sobri. E ci invita a camminare rasoterra senza smettere di guardare in alto. Dobbiamo riprendere a camminare così”.
Riprendere il cammino, un atto dovuto a chi non c’è più, ad Alessia e a tutti i bambini di queste terre e luoghi che “già hanno conosciuto l’abbandono e non meritano il deserto”.
“Ce la faremo?”
è la domanda che serpeggia nell’animo di tutti i sopravvissuti. La risposta per il vescovo sta nella pagina del Vangelo di Luca: “Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nella mani degli uomini”. E poi guardando le prime file, dove erano seduti tra gli altri, il commissario straordinario del governo per la ricostruzione, Vasco Errani, il capo della Protezione civile Fabrizio Curcio, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Claudio De Vincenti e il Governatore del Lazio, Zingaretti, ha proseguito:
“Sì, anche noi stiamo per essere consegnati nelle mani degli uomini. Più concretamente, nelle mani delle istituzioni che ci hanno assicurato che questi luoghi torneranno a vivere come e meglio di prima. Ma anche nelle mani di chi dovrà tradurre questo impegno senza lasciarsi fuorviare da altri interessi”
ha ricordato monsignor Pompili con il pensiero al prossimo decreto per la ricostruzione atteso per i primi giorni di ottobre. “E soprattutto nelle nostre mani che non possono restare inerti o nostalgiche, ma debbono ritrovare l’energia e la voglia di ricostruire insieme. Soltanto così il soffio vitale che c’è in ognuno di noi tornerà a far risplendere il sole su questa terra.
Piangenti non piagnoni.
Ne sono un presagio i nostri ragazzi e i nostri bambini, ancorché intontiti e paurosi. Così come li descrive Gianni Rodari: ‘Tra le tende dopo il terremoto i bambini giocano a palla avvelenata, al mondo, ai quattro cantoni, a guardie e ladri, la vita rimbalza elastica, non vuole altro che vivere’”.