Riflessione

La formazione dei presbiteri e il dono della vocazione

La “Ratio fundamentalis” riporta una serie di criteri e indicazioni proposti a tutta la Chiesa per vivere il dono della vocazione sacerdotale. La nuova “Ratio” chiarisce tre criteri essenziali per un cammino educativo e formativo: la dimensione olistica, ovvero guardare alla persona nella sua totalità e globalità, razionale, affettiva e volitiva; la dimensione dinamica, capace di cogliere la ricchezza dell’affettività nella prospettiva della crescita e del “divenire”; la dimensione relazionale, che è la riscoperta psicologica e antropologica della “Alterità” come valore essenziale che dà respiro alla propria storia relazionale e vocazionale

La formazione dei presbiteri, e una speciale attenzione a vivere il dono della vocazione sacerdotale, ha sempre trovato nella Chiesa una particolare cura e sollecitudine. Ciò si è espresso attraverso una serie di criteri e indicazioni proposti a tutta la Chiesa, attraverso un documento conosciuto come “Ratio fundamentalis”.
La sua prima edizione fa seguito alla ventata di novità e di freschezza del Concilio Vaticano II (1970); un aggiornamento successivo risale al 1985. Nella festa della Immacolata appena celebrata (8 dicembre 2016), la Congregazione per il Clero ha pubblicato l’ultima versione di questo “vademecum” teologico, formativo ed esperienziale, dal titolo suggestivo ed evocativo: “Il dono della vocazione presbiterale”. Questa proposta si colloca in un quadro di riferimento concreto, perché non si smarca dalla consapevolezza “dell’uomo senza vocazione del nostro tempo”, ma ribadisce anche l’orizzonte essenziale nell’annuncio del Vangelo della Vocazione: la “crescita di una nuova cultura vocazionale”, che sola può essere il terreno fecondo in cui ogni vocazione e scelta di vita può essere accolta, valorizzata e amata. Il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il Clero, suggerisce tre chiavi di lettura armonica e integrale della proposta: umanità, spiritualità, discernimento. A queste tre suggestioni vorrei aggiungere qualche altra sottolineatura. Il contesto in cui questo cammino formativo e di scelta si colloca, infatti, non prescinde da una lettura culturale rispettosa e libera:

siamo immersi in una cultura a-progettuale, in cui tutto è relativo e possibile, niente è oggettivabile; ciò che conta è preservare la propria libertà di scegliere, decidere e coinvolgersi, in un soggettivismo di scelte di vita spesso esasperato. In quest’ambito, la nuova “Ratio” chiarisce tre criteri essenziali per un cammino educativo e formativo: la dimensione olistica, ovvero guardare alla persona nella sua totalità e globalità, razionale, affettiva e volitiva; la dimensione dinamica, capace di cogliere la ricchezza dell’affettività nella prospettiva della crescita e del “divenire”; la dimensione relazionale, che è la riscoperta psicologica e antropologica della “Alterità” come valore essenziale che dà respiro alla propria storia relazionale e vocazionale.

Infine, vorrei porre l’accento sui nn. 41-43 della Ratio, che mettono in luce due snodi essenziali nella formazione del presbitero: all’interiorità e alla comunione.

La cura della vita interiore è la prima attività pastorale di un presbitero e la più importante;

la grammatica della vita va cercata, quindi, nella lex orandi della preghiera e della liturgia. Un cuore agitato da preoccupazioni, rabbia e gelosia, causa delle ferite a chi vi entra. Occorre creare una zona franca in noi stessi, per poter invitare altri ad entrarvi e guarire. È una interiorità dolce, un cuore di carne e non di pietra, uno spazio dove si può camminare a piedi nudi.
In questi anni, inoltre, si sta facendo sempre più chiara la consapevolezza che

un presbitero non agisce da solo, in maniera autoreferenziale o isolata, ma fa parte integrante ed essenziale di un “presbiterio”, inteso come una famiglia che abbraccia tutte le generazioni.

È indispensabile individuare e valorizzare alcuni preti come “facilitatori” della comunione presbiterale, capaci di educare all’arte della correzione fraterna e alla disciplina del gareggiare nello stimarsi a vicenda. La testimonianza di una vita comune e fraterna mostra il volto sinodale e missionario del ministero presbiterale. La via della comunione è imprescindibile anche per la crescita di una comunità cristiana, fondata su relazioni vere e profonde, di stima e di valorizzazione reciproca.
Questo ci aiuterà a ritrovare una pastorale vocazionale di grande respiro, di orizzonti ampli con il coraggio profondo di leggere la realtà senza travisamenti e senza maschere, sapendo cogliere i tanti segni di positività, di generosità e di bellezza del cuore umano. E le comunità cristiane potrebbero rivelarsi ancora come un affascinante caleidoscopio di colori che sono i doni dello Spirito Santo che non vengono mai meno.