Conflitto dimenticato
C’è un Natale in Europa che si vivrà nella guerra e nei diritti negati. È il Natale in Ucraina, terra segnata da un conflitto che negli ultimi due anni non ha conosciuto tregua e dove, ad Odessa, i fedeli celebrano la loro liturgia in uno scantinato. Intervista a Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica di Ucraina: “La paura ci sta paralizzando, sta condizionando le nostre scelte politiche ed elettorali. Ha paura solo chi si è arreso di fronte alle sfide. Siamo noi i costruttori del nostro futuro. Il futuro è nelle nostre mani”
Natale in guerra. Natale celebrato in uno scantinato. C’è una “ferita aperta e sanguinante” nel cuore dell’Europa. Si trova in Ucraina ma i media occidentali sembrano essersene praticamente dimenticati. Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica di Ucraina, è andato recentemente a fare visita alla popolazione che vive nella cosiddetta “zona grigia”, la linea che attraversa la parte orientale del Paese, tra Donetsk e Lugansk, laddove i combattimenti purtroppo non cessano da due anni e mezzo. È andato lì con i membri del Consiglio interconfessionale e interreligioso ucraino. Insieme ortodossi, cattolici, protestanti, ma anche ebrei e musulmani, per “dire a questa gente: vi siamo vicini, non vi abbandoniamo, il vostro dolore è il nostro dolore, la vostra sofferenza è la nostra sofferenza”.
Difficile stilare cifre e bilanci. Si stima che il conflitto abbia fino ad oggi provocato 10mila morti e 4mila dispersi. Si contano 5 milioni di persone direttamente toccate dalla guerra. 70mila i civili e i militari feriti gravemente. “Mai qui è arrivata una tregua”, racconta Sua Beatitudine.
“Tutti quelli che potevano andare via, lo hanno fatto ma sotto i bombardamenti, in queste case distrutte, in queste scuole senza tetto e finestre vivono bambini, donne e anziani. Intere città provate dal dolore dove non arrivano gli organismi statali per portare cibo o medicine”.
Le Chiese invece lo stanno facendo. Non hanno abbandonato mai queste persone. C’è preoccupazione per la sorte dei soldati presi in ostaggio e fatti prigionieri dall’esercito russo. “Subiscono torture terribili e anche quando è possibile liberarli, tornano a casa con mutilazioni spaventose”, racconta il capo della Chiesa ucraina aggiungendo anche di aver portato questo “grido” di allarme “in tutte le sedi religiose, civili e istituzionali”. Ma c’è un altro fenomeno che Sua Beatitudine descrive come “un crimine contro l’umanità ed è il traffico di corpi”. Il meccanismo è atroce: spesso i familiari sono disposti a negoziare con i guerriglieri pagando un riscatto pur di riavere un figlio o un marito. Ma a riscatto pagato viene consegnato loro un corpo morto e mutilato, con segni di tortura evidenti.
“Noi dobbiamo difendere la dignità della persona umana, non soltanto della persona viva, ma anche morta”.
Nello scacchiere dei diritti negati in Ucraina, spicca la situazione di Odessa, bellissima città portuale che si faccia sul Mar Nero ma dove i 150mila fedeli della Chiesa greco-cattolica ucraina non hanno una cattedrale dove celebrare la Messa e l’unico luogo che sono riusciti ad acquistare è un sotterraneo di un palazzo. Schvechuk è appena tornato da Odessa e racconta: “Potevano entrare non più di 30/40 persone, tutti gli altri erano fuori sulla strada ed hanno seguito con gli altoparlanti. Quel giorno abbiamo distribuito 300 ostie. La lettura del Vangelo rimandava alla pagina del Buon Samaritano. La parola che parla del Dio Misericordioso che non abbandona quelli che sono colpiti, emarginati, feriti. Il mio messaggio per loro è stato: ‘Non abbiate paura. Noi usciremo da queste catacombe. Perché la forza che ci farà uscire, non dipenderà dai privilegi ma dalla nostra fede’”.
Europa ostaggio della paura e dell’odio. “I potenti di questo mondo – osserva Schevchuk – vogliono incidere nelle nostre menti e nei nostri cuori diffondendo due sentimenti distruttivi, paura e odio.
La paura ci sta paralizzando, sta condizionando le nostre scelte politiche ed elettorali. Il mio messaggio è: non abbiamo paura perché ha paura solo chi si è arreso di fronte alle sfide. Siamo noi i costruttori del nostro futuro. Il futuro è nelle nostre mani”.
L’altro messaggio è rivolto a chi diffonde odio. “Non dobbiamo permettere che l’odio si impossessi del nostro cuore perché l’odio è sempre causa di guerre. Se noi cederemo all’odio, il mondo sarà in pericolo”.
Grandi cambiamenti si prospettano nei rapporti diplomatici internazionali con la vittoria negli Usa di Donald Trump. “Nessuno può prevedere la linea che prenderà il nuovo governo”, risponde con estrema tranquillità il capo degli ucraini greco-cattolici. “Non abbiamo paure o preoccupazioni ma speranze. Innanzitutto che gli Stati Uniti siano coscienti della loro responsabilità anche per la comunità internazionale. E che si faccia tutto quello che è possibile per fermare la guerra, restituire la pace alle zone che soffrono dei conflitti e costruire un nuovo modo di fare accordi di pace. Se il mondo cede alla logica della guerra, pagheranno tutti non solo gli altri”.
Batte forte la speranza che il Papa possa un giorno venire in Ucraina. “Io glielo chiedo sempre”, risponde con la luce negli occhi Schevchuk. “Ogni volta che lo vedo, chiedo al Papa di venire.
C’è la convinzione nella nostra gente che se il Papa viene in Ucraina, la guerra finisce.
La gente è delusa dall’inefficienza dei negoziati diplomatici, dal sistema della legge internazionale che non regge più. Ma ha grande fiducia e speranza in Dio. Il Papa è un’autorità morale, punto di riferimento globale e tutti vedono e riconoscono il suo ruolo. Perciò la gente dice che se il Papa viene, la guerra finisce. Abbiamo questa speranza, preghiamo”.