Scuola
Quella di oggi non è certo una scuola che non fa niente. Anzi, è zeppa di attività: due lingue, la settimana bianca, l’orientamento, gli stage… Ma è bene insegnarlo ai ragazzi, nostro ponte con il futuro, che se Manzoni andò a sciacquare i panni in Arno non è perché non aveva la lavatrice
Italiano questo sconosciuto. Lo dicono le canzoni senza congiuntivi, gli slogan errati… e l’errore che passa si fa regola. Tv cattiva maestra o maestri che parlano come la tv: comunque sia, gli allievi non imparano. Parola di seicento docenti universitari firmatari della lettera “Saper leggere e scrivere: una proposta contro il declino dell’italiano a scuola”. Tra di essi accademici della Crusca (che per i ragazzi forse è un mulino bio), rettori, pedagogisti, scrittori, giornalisti (da Ernesto Galli della Loggia a Luciano Canfora), filosofi (Massimo Cacciari), sociologi (Ilvo Diamanti), la scrittrice e insegnante Laura Mastrocola, famosa per il suo “Galline volanti”. Storia di una prof e dei suoi disperanti allievi.
I firmatari lamentano che gli studenti arrivano a tesi e tesine senza saper scrivere: congiuntivi e condizionali immersi in una medesima nebulosa, il periodo ipotetico un imprevisto, tesi scritte come sms. Il che indica un’incompletezza grafica delle parole, abbreviate per far prima, ma anche un’allarmante incapacità di seguire un ragionamento. Sospetto non infondato se anche lo psichiatra Vittorino Andreoli ha dedicato il suo ultimo libro a “La gioia di pensare. Elogio di un’arte dimenticata”, per denunciare che si usano più le mani che le meningi. Abituati a vivere col cellulare in mano, a continui stacchi d’attenzione, a risposte immediate. E più è veloce la risposta, minore è il tempo per pensarla. Un allenamento digitale che inizia da piccoli e non ha tregua neppure nei pomeriggi dedicati ai compiti.
La situazione è allarmante: “Da tempo i docenti universitari denunciano le carenze linguistiche dei loro studenti (grammatica, sintassi, lessico), con errori appena tollerabili in terza elementare”. E ancora: “Circa tre quarti degli studenti delle lauree triennali sono di fatto semianalfabeti”. Non è un titolo urlato da giornale. È un S.o.s: ritorni lo studio della grammatica.
Si resta increduli: ora che si sta sui banchi fino alla maggiore età, come è possibile? In tale débâcle tante sono le parti in causa. Una scuola non meritocratica: perché ci sono i bravi, i volenterosi, ma anche coloro che si esercitano nel passarla liscia spendendosi al minimo e la fanno franca. E poi una scuola – questo uno dei commenti dei firmatari – in cui gli insegnanti devono vestire più i panni degli assistenti sociali che i loro propri. E un mondo in cui tv, social, smarthphone e qualsiasi cosa regali immagini in movimento la fanno da padroni. Libri e giornali? Quasi nature morte. Meglio che anche la lettura passi da uno schermo.
Nella lettera si propongono linee di intervento che vanno dal dare “grande rilievo all’acquisizione delle competenze di base” alla “introduzione di verifiche nazionali periodiche” comprendenti “dettato ortografico, riassunto, comprensione del testo, conoscenza del lessico, analisi grammaticale e scrittura corsiva a mano”.
A chi non frequenta la scuola, a chi non corregge compiti pare incredibile. Forse pure alle famiglie che comprano libri di testo e lamentano i pomeriggi troppo pieni dei figli. E agli insegnanti oberati di impegni burocratici, che si sentono soli e incompresi nel trasmettere un sapere a ragazzi annoiati sui banchi. Dove sta il busillis? Quella di oggi non è certo una scuola che non fa niente. Anzi, è zeppa di attività: due lingue, la settimana bianca, l’orientamento, gli stage… Ma è bene insegnarlo ai ragazzi, nostro ponte con il futuro, che se Manzoni andò a sciacquare i panni in Arno non è perché non aveva la lavatrice.
(*) direttrice “Il Popolo” (Concordia-Pordenone)