Comunicazione
L’Associazione italiana ascoltatori radio e televisione (Aiart) si rinnova e aggiunge al suo tradizionale acronimo la denominazione “cittadini mediali”. Il presidente Massimiliano Padula ne spiega i motivi e avverte: “Basta separazioni tra realtà virtuale e reale, sono un continuum perché tutto parte dall’uomo che utilizzando i media li fa esistere”
Da spettatori a cittadini mediali, perché i media non sono uno strumento ma un ambiente da abitare. Muove da questo assunto la decisione dell’ Associazione italiana ascoltatori radio e televisione (Aiart): riposizionarsi nell’odierno scenario digitale totalmente rimodulato e aggiungere al suo tradizionale acronimo la denominazione “cittadini mediali”. La scelta, frutto di un anno di studio, riflessioni, condivisioni e azioni concrete, è stata formalizzata lo scorso 25 febbraio in occasione di un’assemblea straordinaria dei soci, confermando e istituzionalizzando il passaggio sostanziale dal concetto di “spettatore, colui cioè che aspetta e fruisce del contenuto ricevuto, a cittadino, colui che non solo fruisce di contenuti mediali ma li progetta, li produce e ne è responsabile”. A spiegarlo al Sir è il giovane presidente nazionale Massimiliano Padula, docente di comunicazione presso l’Istituto pastorale Redemptor Hominis della Pontificia Università Lateranense di cui coordina anche il Centro alti studi, dal 30 gennaio dell’anno scorso alla guida dell’associazione.
Fondata nel 1954 per iniziativa dell’Azione cattolica, l’Aiart nasce in concomitanza con l’inizio del servizio pubblico radiotelevisivo con il duplice compito di tutela e di formazione/educazione ai media. “Un ruolo – sostiene il presidente – da mantenere e rafforzare ripensandolo, perché oggi è legato soprattutto al web”.
Che significa essere cittadini mediali?
“Cittadino definisce chi partecipa alla costruzione della vita civile, sociale e culturale; chi è soggetto di diritti e di doveri e responsabilità; chi progetta, innova, produce. Una funzione che a tutti i livelli dovremmo esercitare in maniera responsabile anche nell’universo mediatico facendo fronte con discernimento e coscienza alle sue inevitabili deviazioni”.
“Lo scenario comunicativo contemporaneo è caotico, ibrido, turbolento, di difficile intercettazione, decodifica e comprensione. Di qui – chiosa Padula – la necessità di ricomporre il paradigma socioculturale afferente ai media, anzitutto abbattendo la barriera concettuale tra online e offline, tra realtà virtuale e realtà reale che non sono contrapposte ma costituiscono un continuum, due facce della stessa medaglia, di
un medesimo territorio da abitare in modo consapevole”.
Per il presidente dell’Aiart, “i media sono proiezioni dell’essere umano e della sua coscienza, non dispositivi separati da lui; l’uomo non usa i media, ma è i media; li fa esistere e dà loro significato; il web non è un ambiente in cui l’uomo comunica, ma è riflesso della sua stessa dimensione etica, mentre lo screen dello smartphone costituisce un vero e proprio palinsesto dell’esistenza”. Per questo
“è importante investire sulla formazione di cittadini mediali, e non si tratta di fornire soltanto competenze digitali ma di educare persone affinché online (ma anche offline) siano responsabili e consapevoli delle opportunità e dei pericoli che possono discendere da un’inadeguata presenza in rete”.
Online, l’analisi di Padula, “tendono a destrutturarsi categorie come buon senso, confronto, conciliazione. Siamo portati a de-filtrarci, a dire qualsiasi cosa senza pensare che il nostro comportamento ha le stesse istanze e caratteristiche della vita reale”. Dunque, “tutelare per educare, ma anche educare per tutelare”. A questo fine l’associazione lavora attraverso le proprie sedi territoriali presenti in tutta Italia in scuole, parrocchie e centri culturali in modo integrato, crossmediale e convergente.
“In qualità di cittadini mediali che abitano il dibattito contemporaneo – spiega ancora il presidente -, abbiamo scelto di ‘annusarlo’ senza intervenire costantemente ma optando per questioni di particolare significato”. Tra queste “il tema della responsabilità personale, sempre più sfumata e indipendente dalla nostra presenza online o offline come dimostra la vicenda del suicidio di Tiziana Cantone (‘troppo facile e assolutorio dare la colpa al web’) , le perplessità sul film ‘I bastardi di Pizzo Falcone’, l’inopportunità del docu-reality ‘Stato civile’”.
Se essere cittadini è sinonimo di “presenza, rilevazione e denuncia delle criticità”, quest’ultima non deve essere solo censoria ma anche propositiva, “come è stata la nostra richiesta-provocazione a Rai3 con l’appello a Daria Bignardi di raccontare anche la famiglia eterosessuale”. Ma, avverte a conclusione Padula, “un’autentica cittadinanza mediale, consapevole di diritti e doveri, responsabile e capace di discernimento”, può nascere soltanto da “un’efficace alleanza educativa tra famiglia, scuola, parrocchia, associazioni e media”. In questo modo
“potremo diventare quei ‘canali viventi’ capaci di aprire ‘sentieri nuovi di fiducia e speranza’
auspicati da Papa Francesco nel Messaggio per la 51ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali”.