Dal 39° convegno Caritas

Taranto, nella città dell’Ilva il rione Tamburi rinasce. E i veleni sconfitti con il “miracolo” dei pioppi

A Taranto dal mondo cattolico vengono due esperienze innovative di riqualificazione ambientale. Per creare socialità e sperimentare buone prassi laddove l’inquinamento e i veleni nascosti nei terreni hanno distrutto

L’Ilva di Taranto la riconosci subito dall’odore. Prima ancora di vederne la sagoma, con gli altiforni e le nuvole di fumo che escono dalle ciminiere, un sentore ferroso entra nelle narici e arriva impercettibilmente alle papille gustative. Gli abiti e i capelli si impregnano. Le casalinghe spazzano la polvere di carbone dai terrazzi e ai bambini è vietato giocare nei parchi per l’alto livello di diossina. Il rione Tamburi di Taranto, insieme a quello di San Paolo, sono vicinissimi al mostro siderurgico. L’Ilva, oltre a produrre acciaio fin dagli anni ‘60, a dare lavoro e creare un indotto occupazionale di 20.000 persone, porta con sé malattie pesanti: il cancro è presente quasi in ogni famiglia (secondo alcuni studi +50% della media regionale), sono aumentati i deficit cognitivo-comportamentali nei bambini, la mortalità infantile è +21%, +45% le malattie in gravidanza. Allergie, asma e malattie respiratorie sono il minimo che può succedere quando si respira un’aria gonfia di diossina che spira ovunque insieme al vento. Ogni tanto, quando soffia lo scirocco e sembra sia scoppiata una bombola di gas, l’amministrazione stabilisce dei “wind day”, chiudendo la via principale di Tamburi. “Qui è come vivere in Messico con la paura dei narcos”, dice la gente, “sapendo che prima o poi il cancro viene a bussare alla tua porta”. Eppure in questo quartiere provato e abbandonato dalle istituzioni, c’è una comunità viva e solidale. Nell’attesa, poco fiduciosa, che le promesse vengano mantenute e l’Ilva riconvertita o messa a norma, la società civile si organizza. Taranto, una delle città più inquinate d’Italia, rappresenta un territorio di “resilienza”, dove la gente sperimenta buone prassi di riqualificazione ambientale. Il progetto “A Tamburi battenti” e il terreno avvelenato sanato grazie a 1.400 pioppi dal Centro educativo Murialdo sono due esperienze che testimoniano lo sviluppo umano integrale di cui si sta parlando al 39° convegno nazionale delle Caritas diocesane in corso a Castellaneta.

“A Tamburi battenti”. Tamburi una volta era famosa per i boschi e l’aria buona, c’era perfino un sanatorio. Ora invece le facciate delle chiese, i palazzi e i muri del cimitero sono ricoperti di polvere di ferro. Il progetto “A Tamburi battenti”, finanziato con 210.000 euro in tre anni dalla Fondazione Con il Sud e 55.000 euro con i fondi 8xmille tramite la Caritas diocesana, con il coinvolgimento di numerose associazioni locali, ha come centro la parrocchia San Francesco Geronimo. Don Nino Borsci è l’attivissimo parroco che ha visto cambiare il rione: “Negli anni ‘80 ci vivevano 25.000 persone, poi è iniziato l’esodo a causa dei licenziamenti e dell’inquinamento. Oggi siamo in 18.000. Purtroppo sono aumentate le malattie dei bambini, soprattutto l’autismo”. La ristrutturazione del teatro, che verrà inaugurato il 15 maggio con uno spettacolo a più voci, è solo il punto di partenza di

un percorso partecipato e articolato che intende coinvolgere l’intero quartiere.

“Qui tutti vivono una situazione di crisi – spiega Lucia Lazzaro, responsabile del progetto – : è una buona fucina per potersi riscattare. Vogliamo far nascere il cambiamento”. Stanno perciò strutturando una rete di collaborazione con le realtà del territorio. Oltre al ruolo propulsore delle attività teatrali il progetto intende

creare prodotti con il marchio “Made in Tamburi”

attraverso una sartoria sociale che coinvolgerà 10 donne e una falegnameria di progettazione e riuso. Gli oggetti verranno venduti in un emporio solidale. Ci sarà poi una eco-orchestra con percussioni da materiali di recupero per gli studenti delle scuole medie, un gazebo solidale davanti alla parrocchia per offrire consulenze lavorative e spazi di sostegno ai care-giver. “Siamo ad un terzo del percorso – precisa l’architetto Alessandro Massaro che sta ristrutturando il teatro parrocchiale -. Vogliamo dimostrare che si può vivere bene anche a Tamburi. Intanto combattiamo perché l’Ilva sia bonificata, senza togliere lavoro a migliaia di persone che devono mandare avanti la famiglia e pagare il mutuo”.

Il “miracolo” dei pioppi. A 12 km dall’Ilva passando tra il Mare piccolo e il Mare grande che caratterizzano il Golfo di Taranto è invece avvenuto un piccolo “miracolo”, come racconta entusiasta padre Nicola Preziuso, presidente del Centro educativo Murialdo: “Dopo lo sfratto dal nostro centro abbiamo avuto in gestione per 19 anni dall’Agenzia del Demanio 4 ettari e mezzo di terreno, una ex base della Marina militare. Poco dopo ci siamo accorti che mezzo ettaro era inquinato da metalli pesanti e dal Policlorobifenili (Pcb), un veleno che uccide tutte le componenti maschili nei vegetali, negli animali e negli uomini, provocando sterilità”. Grazie alle collaborazioni con il Cnr e l’Università di Bari è stata realizzata

un’attività di fito-rimedio attraverso la piantumazione di 1.400 pioppi “Monviso”.

Attraverso le radici spugnose aggrediscono le molecole di Pbc spaccandole. “La sperimentazione è pienamente riuscita, è avvenuto un miracolo – rimarca il sacerdote -. I ricercatori pensavano che l’inquinamento si sarebbe risolto in 4 anni. Invece

in 14 mesi i valori sono rientrati nella norma”. La piantumazione dei pioppi è stata eseguita da detenuti e ragazzi immigrati.

Padre Preziuso ha in mente un megaprogetto per trasformare in cinque anni il terreno in una area socio-educativa straordinaria: è già pronto il parco giochi, ci sono 53 ulivi per un ottimo olio, ci saranno orti sociali, uno spazio per concerti e convegni, una foresteria, un forno e una piscina bio-dinamici, una cappella ecumenica. Ha il sostegno della diocesi ma i finanziamenti sono ancora da trovare.