Papa emerito
I 90 anni di Benedetto XVI, immerso nella preghiera per testimoniare che “salire al monte” non è una ritirata o una fuga, ma un modo diverso per servire Dio, la Chiesa e il successore di Pietro
“Vorrei ancora, con il mio cuore, con il mio amore, con la mia preghiera, lavorare per il bene comune della Chiesa e dell’umanità”. Sono le ultime parole pronunciate da Benedetto XVI, dopo che i cancelli della Villa pontificia di Castelgandolfo, alle ore 20 del 28 febbraio 2013, si sono chiusi. Da quel momento, il Papa emerito continua ad essere presente nella vita della Chiesa con la preghiera, il silenzio, la mitezza e la discrezione che caratterizzano le sue giornate al Monastero “Mater Ecclesiae”. A pochi passi dal suo successore, a cui – senza ancora conoscerne il nome – aveva promesso “incondizionata reverenza ed obbedienza”. Con la scelta di vivere “nascosto al mondo”, dopo la rinuncia al soglio di Pietro, Benedetto ha fatto della preghiera la cifra del suo attuale servizio nella Chiesa. Anche il 16 aprile, giorno del suo 90° compleanno, che coincide con la celebrazione della Pasqua, sarà una giornata vissuta all’insegna della sobrietà e della semplicità, con gli auguri di Francesco che arriveranno, probabilmente, sotto forma di una visita pomeridiana, in casa, tra fratelli nella fede.
“Ho l’impressione che viva immerso nella preghiera”, ha rivelato Peter Seewald raccontando come sia arrivato alla stesura di “Ultime conversazioni”, il libro in cui Benedetto XVI racconta all’autore con accenti molto intimi come vive il suo “secondo tempo”, dopo aver guidato per otto anni la barca di Pietro.
I tratti più conosciuti del percorso di avvicinamento alla rinuncia sono sicuramente i giorni che hanno fatto seguito all’annuncio dell’11 febbraio di quattro anni fa. L’ultimo Angelus, il 24 febbraio 2013, era incentrato proprio sul “primato della preghiera, senza la quale tutto l’impegno dell’apostolato e della carità si riduce ad attivismo”. Quattro anni dopo quella Quaresima, risuona ancora l’invito del Papa emerito, nel penultimo momento pubblico da Papa regnante, a dare il giusto tempo alla preghiera, che non è un isolarsi dal mondo e dalle sue contraddizioni:
“Il Signore mi chiama a salire sul monte, a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione. Ma questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in modo più adatto alla mia età e alle mie forze”.
Non una ritirata o una fuga, quella del Papa tedesco, ma una lezione di realismo cristiano dalla cattedra dell’umiltà di chi, con il setaccio della fede, sa vagliare con serenità i propri limiti per poi abbandonarsi con gioia fiduciosa alla volontà del Padre. A scanso di equivoci, Benedetto lo spiega ancora una volta il 27 febbraio 2013. Per l’ultima udienza generale, scandita dagli applausi, in piazza San Pietro ci sono 150mila persone a salutarlo. “Ho chiesto a Dio con insistenza, nella preghiera, di illuminarmi con la sua luce per farmi prendere la decisione più giusta non per il mio bene ma per il bene della Chiesa”.
Ma l’udienza n. 348, l’ultima del pontificato, non è un’isola: nel 2011, Benedetto XVI ha dedicato un intero ciclo di catechesi alla “scuola della preghiera”, dai Salmi ai Padri della Chiesa, dalle figure più eminenti del Vecchio Testamento alla preghiera di Gesù. Il 14 marzo 2012 inaugura una serie di catechesi sulla preghiera negli Atti degli Apostoli. L’esempio è quello di Maria, che “ha seguito con discrezione tutto il cammino di suo Figlio durante la vita pubblica fino a piedi della croce, e ora continua a seguire, con una preghiera silenziosa, il cammino della Chiesa”, attraverso la sua capacità di
“mantenere un perseverante clima di raccoglimento per meditare ogni avvenimento nel silenzio del suo cuore, davanti a Dio e nella meditazione davanti a Dio anche comprenderne la volontà di Dio e divenire capaci di accettarla interiormente”.
La Chiesa è comunità che prega, come Maria prega insieme agli apostoli in quella stanza al piano superiore, prima della Pentecoste: la Chiesa è comunità che prega, perché
“la vita umana attraversa diverse fasi di passaggio, spesso difficili e impegnative, che richiedono scelte inderogabili, rinunce e sacrifici”.
La preghiera non è un vuoto: in un’epoca come la nostra, in cui siamo tentati di riempire tutti gli spazi, Benedetto – con le parole pronunciate durante la sua ultima Pasqua pubblica, nella Messa delle Ceneri celebrata eccezionalmente a San Pietro invece che a Santa Sabina – spiega come la vera ricompensa, per il cristiano, sia “ritornare a Dio con tutto il cuore”. La preghiera silenziosa che continua a risuonare da quel Monastero, grazie alla testimonianza di Joseph Ratzinger, è la prova che
“il vero discepolo non serve se stesso o il pubblico, ma il Signore, nella semplicità e nella generosità”.