L'attesa per la visita

Papa in Egitto: patriarca Sidrak, “Francesco è un amico e l’amico si vede nel bisogno”

“Benedizione e sostegno per la nostra testimonianza nella società egiziana”: la visita imminente di Papa Francesco in Egitto (28 e 29 aprile) nelle parole di Ibrahim Isaac Sidrak, patriarca della Chiesa copto-cattolica d’Egitto, appena 300mila fedeli su 12 milioni di copto-ortodossi. “Non siamo un piccolo gregge. È tempo di parlare più di presenza che di minoranza”, dice il patriarca, che ribadisce il valore del dialogo con l’Islam che richiede “tempo, coraggio e molta cura”. Il ricordo dei martiri cristiani uccisi dallo Stato Islamico e il peso drammatico della crisi economica sul popolo

Ibrahim Isaac Sidrak, patriarca della Chiesa copto-cattolica d’Egitto

“Accogliamo con gioia Papa Francesco. La sua presenza è benedizione e sostegno per la nostra testimonianza nella società egiziana”. Ibrahim Isaac Sidrak, patriarca della Chiesa copto-cattolica d’Egitto (circa 300mila fedeli su 12 milioni di cristiano-ortodossi), non nasconde la sua emozione parlando della prossima visita di Papa Francesco nel Paese. Nella sua mente, forse, il ricordo di un pezzo di storia importante di questa regione, l’“approdo di San Francesco in Terra Santa”, riportato in una miniatura della “Legenda Maior” di san Bonaventura. Nel 2017 sono 800 anni della presenza francescana in Medio Oriente. Nel Capitolo del 1217, ad Assisi, l’Ordine francescano decise di inviare frati in tutto il mondo allora conosciuto come testimoni di pace. Anche in Medio Oriente. Nel 1219 Francesco d’Assisi si imbarcò a sua volta per l’Egitto. A Damietta, vicino il Cairo, incontrò il Sultano d’Egitto Melek-al-Kamel, nipote di Saladino. A Damietta, si disse, il Vangelo si incontrò con il Corano e il Corano con il Vangelo. Francesco non ebbe paura di Maometto e il Sultano non ebbe paura di Cristo. La speranza è che, 800 anni dopo, accada la stessa cosa al Cairo, con un altro Francesco, Papa Bergoglio.

Patriarca Sidrak, cosa si aspetta da questa visita?
Il viaggio papale dice al mondo che il nostro Paese, pur attraversando un periodo difficile, vuole pace e stabilità. Per questo merita di essere sostenuto. Come cattolici siamo pochi, nonostante ciò la nostra presenza è avvertita dentro la società egiziana. L’arrivo del Pontefice ci darà ulteriore visibilità e ribadirà che siamo parte integrante della Chiesa cattolica nel mondo. Non siamo un piccolo gregge. Siamo pecorelle del grande gregge della Chiesa cattolica.

È tempo di parlare più di presenza che di minoranza.

Basta nascondersi dietro i numeri, basta dire che ci sentiamo abbandonati.

La presenza cattolica in Egitto è apprezzata per l’impegno umanitario oltre che per il dialogo interreligioso ed ecumenico…
Certamente, ma non dimentichiamo che scuole, ospedali, ospizi, case di accoglienza, sono solo mezzi. Non dobbiamo perdere di vista il fatto che, con queste iniziative, possiamo dare un contributo positivo alla società egiziana. Attraverso le nostre opere viviamo i dettami evangelici e seguiamo le indicazioni del Concilio Vaticano II.

Una missione della Chiesa cattolica locale, di cui poco si parla, è l’accoglienza dei migranti, eritrei, sudanesi e siriani. Cosa fate per loro?
Sono fratelli che vivono nel bisogno. Li accogliamo, cercando con i nostri pochi mezzi, di offrire assistenza, istruzione, lavoro, necessari per una vita dignitosa. Lo stesso facciamo con i detenuti nelle carceri egiziane. Sono missioni impegnative anche per la crisi economica che attanaglia il Paese su cui pesa l’insicurezza, il calo del turismo, la corruzione, gli abusi, la svalutazione monetaria, il caos dei prezzi, la mancanza di investimenti e di occupazione. Oggi soffre anche chi prima era ricco. Ogni anno in Egitto nascono quasi un milione e mezzo di bambini cui va garantito il necessario. Non è facile vivere in questa situazione.

In Egitto è in atto un dibattito favorito anche da alcune aperture dell’Università di al-Azhar riguardo i temi della cittadinanza, della separazione tra Stato e religione, così come da iter legislativi legati alla legge sulla costruzione di nuove chiese. È tutto oro quel che luccica?
Direi di sì anche se non ancora al livello da tutti desiderato.

Capita che negli incontri ufficiali, nei congressi, in occasioni di studio e di dialogo, non si dica tutto ciò che si pensa, facendo attenzione a non urtare l’interlocutore esprimendo rilievi alle diverse posizioni espresse.

L’importante, tuttavia, è partecipare e dialogare. Così si semina una mentalità di incontro e di conoscenza. Da parte mia credo molto nei rapporti interpersonali diretti. Ho avuto modo di incontrare personalmente il Grande Imam di al-Azhar, al Tayyeb, e di parlare con lui anche in occasione di scambio di auguri…

E cosa vi siete detti?
In uno scambio di auguri non si può dire molto. Certamente

ottimi incontri e bei discorsi, ma la realtà ci chiede coraggio e molta cura.

Il Papa, che incontrerà il Grande Imam, potrà dare questo coraggio anche agli interlocutori musulmani?
Preghiamo. Il cambiamento è legato a molti fattori, sociali, religiosi, economici, e non solo ad alcune persone. C’è una società che deve crescere e formarsi nel dialogo.

Aspettare che la visita del Papa faccia miracoli o provochi un cambiamento immediato è difficile. Spero invece che la presenza del Papa rappresenti un punto possibile di cambiamento e di ri-partenza.

Papa Francesco arriva in Egitto dopo gli attentati alle chiese, nella Domenica delle Palme, e in altre zone del Paese, come il Sinai. Le vittime di questi attacchi sono i martiri cristiani dell’Egitto…
I cristiani sono nel mirino dei terroristi. Lo dico con forza e sofferenza. Sono attentati anche contro l’Egitto, per dividerlo.

I cristiani sono la parte debole della società

e quella che, se colpita, garantisce eco nel mondo. Ma ci sono altri attacchi che devono essere tenuti presenti: sono i discorsi e gli insegnamenti che arrivano da religiosi e non. In diverse madrasse ci sono persone che per anni studiano da sole senza dialogare con nessuno. Per costoro confrontarsi con altre posizioni è uno shock.

Il dialogo chiede tempo, va appreso. Come cristiani non abbiamo scelta.

Il nostro popolo è buono e aspetta Papa Francesco anche per la conferma del viaggio dopo gli attentati. Il Papa è un amico e l’amico vero si vede nel momento del bisogno.