Primo Maggio
La globalizzazione dei mercati e la delocalizzazione di svariate aziende ha ridotto la capacità occupazionale delle nostre imprese – lasciando spazio alla protesta, che in non pochi casi è esplosa in reazioni antisistema anche altrove in Europa -; mentre un numero crescente di giovani si rassegna a cercare lavoro fuori d’Italia, visto che il nostro non sarebbe più “un Paese per giovani”…
Andiamo ripetendoci – e lo diremo in piazza anche in questo 1° maggio – che il problema cruciale della nostra società, in quest’epoca, è quello della disoccupazione, in particolare giovanile, e specie al Sud, ma anche nel nostro Veneto ormai da tempo. Le statistiche segnalano qualche timida ripresa dell’occupazione, ma si tratta spesso di dati drogati da diverse forme di lettura, da incentivi legati alla decontribuzione, da contratti a tempo indeterminato “finti”, gonfiati dal Jobs Act, presto destinati a sfumare senza eccessivi oneri. In crescita – specie dopo l’eliminazione dei voucher – anche il “lavoro in affitto”, cioè il lavoro somministrato da agenzie specializzate che collocano di mese in mese gli iscritti – talora anch’esse con contratto a tempo indeterminato, ma ahimè sempre pericolante – in qualche azienda. Ma, si sa, il sogno di tutti – o di molti, date la fluidità e la labilità anche di ideali – è quello del “posto fisso”, irraggiungibile dalla gran parte delle nuove generazioni e che, solo, potrebbe dare qualche garanzia di un futuro sereno e costruttivo. Non mancano analisi sul fenomeno, ma di soluzioni solo tentativi.
La globalizzazione dei mercati e la delocalizzazione di svariate aziende ha ridotto la capacità occupazionale delle nostre imprese – lasciando spazio alla protesta, che in non pochi casi è esplosa in reazioni antisistema anche altrove in Europa -; mentre un numero crescente di giovani si rassegna a cercare lavoro fuori d’Italia, visto che il nostro non sarebbe più “un Paese per giovani”… E, d’altro canto, permane la difesa a oltranza di vantaggi o privilegi da parte di chi potrebbe forse cedere in qualcosa (ultimo esempio il referendum in Alitalia, il cui responso pretenderebbe oneri ulteriori a carico della nazione!…), o il fenomeno del doppio e triplo lavoro; con i sindacati che si ritrovano a rappresentare per lo più i pensionati o i dipendenti pubblici, anch’essi per altro minacciati dall’urgenza di ridurre le spese nella pubblica amministrazione che, insieme alla scuola, non è più gran bacino di posti.
Intanto l’ultima rivoluzione industriale, quella del 4.0, con l’annunciato avvento della robotica a ridurre ulteriormente il fabbisogno di manodopera, dopo il già invadente dominio di transazioni in Internet, non fa certo prevedere incremento di lavoratori. Per i quali l’unica possibilità di salvezza sarebbe forse una formazione-aggiornamento tempestiva e costante. Sarà il “reddito di inclusione” a soccorrere i disoccupati? Magra consolazione, sia per le casse dello Stato che per la dignità insita nel lavoro, cui ognuno avrebbe diritto. Forse il vecchio slogan “lavorare meno per lavorare tutti” potrebbe ispirare qualche soluzione in un mercato del lavoro sempre più problematico ed escludente. Insieme alla rinuncia al mito di una crescita infinita, accettando, tutti, limiti e sobrietà anche nel quotidiano.
(*) direttore “Nuova Scintilla” (Chioggia)