Le ragazze rapite da Boko Haram

C’è sempre un Barabba

Le storie servono per capire quel che accade nel mondo e attorno a noi. Inutile l’obiezione: sono lontane. L’Africa sbarca ogni giorno sulle nostre coste. Oltre settemila nello scorso fine settimana. Persone in fuga da violenze. Cercano aiuto. Domani potrebbero camminare fra noi

Liberate: una parola insperata per le ragazze rapite in Nigeria dagli uomini di Boko Haram. Non tutte però: un’ottantina sulle 276 che, nella notte tra 14 e 15 aprile 2014, furono strappate dalla scuola dove studiavano. Colpevoli di questo: studiare. Avevano tra 15 e 18 anni.
In 57 riuscirono a scappare poche ore dopo, ma 219 piombarono in un incubo. Lo ha confermato lo stato di choc in cui è stata ritrovata una di esse, Amina Ali, che nel maggio dell’anno scorso è stata sorpresa a vagare nella foresta tra Nigeria e Camerum. In braccio Safiya, la sua bambina di quattro mesi. Figlia della prigionia, della paura, della violenza. E di un uomo col mitra. Amina è stata riportata dalla madre. Non le sarà facile essere accettata dai suoi: è una “annoba”, una contaminata. Eppure, può quasi dirsi fortunata. Le rapite di Boko Haram più facilmente spariscono: schiave da vendere al mercato o premio per i miliziani.
Le ricordiamo nel filmato diffuso nel secondo anniversario dal rapimento: sagome informi, ricoperte di lunghi veli neri e grigi. Recitavano il Corano, gli occhi sprofondati a terra. Come quelli delle ultime liberate. Una vicenda tremenda quanto il silenzio che l’ha accompagnata. Un ritrovamento e uno scambio hanno riacceso i riflettori. Meteore del nostro interesse nel buio della loro paura.
Qualche volto famoso si è mosso. Michelle Obama si è attivata a un mese dal rapimento con la campagna “Bring Back our girls” (ridateci le nostre ragazze). È intervenuta anche Malala, la pakistana a cui spararono alla testa perché non rinunciava alla scuola. Testimone perfetta del diritto allo studio delle ragazze, oltre che la più giovane insignita del Nobel per la pace. Due voci importanti. Ma due voci non spezzano un silenzio.
Le rapite servono da merce di scambio con i miliziani incarcerati, per questo le fanno vivere. Ventuno sono state rilasciate ad ottobre 2016 in cambio di quattro militanti; ottanta lo scorso fine settimana. C’è sempre qualche Barabba da liberare. E povere creature da immolare su una croce dopo un calvario di violenza e terrore.
SA’a si è salvata buttandosi da un camion. Ha chiesto solo: “Non dovete dimenticarle”. Ha raccontato l’indicibile; un indicibile che non sa togliere da orecchi, occhi e cuore.
Le storie servono per capire quel che accade nel mondo e attorno a noi. Inutile l’obiezione: sono lontane. L’Africa sbarca ogni giorno sulle nostre coste. Oltre settemila nello scorso fine settimana. Persone in fuga da violenze. Cercano aiuto. Domani potrebbero camminare fra noi.

direttrice “Il Popolo” (Concordia-Pordenone)