Assemblea Cei e Sinodo
Monsignor Pietro Fragnelli a tutto campo sui giovani: dall’Assemblea della Cei al Sinodo del 2018
Una pastorale “da persona a persona”, che passi dall’offrire risposte al saper suscitare domande, tramite adulti capaci di farsi compagni di viaggio e di “dialogare con i sogni dei giovani”. Per monsignor Pietro Maria Fragnelli, vescovo di Trapani e presidente della Commissione Cei per la famiglia, i giovani e la vita, è questo il “filo rosso” che lega la riflessione dei vescovi italiani e il cammino di preparazione del prossimo Sinodo.
I vescovi italiani, nell’assemblea che si è appena conclusa, si sono confrontati sulla presenza dei giovani nelle nostre comunità. Quale quadro ne è emerso?
Il tema dei giovani, come non sempre avviene con altri temi, ha appassionato realmente tutti. Il confronto tra noi vescovi è oscillato da una visione fortemente realistica, al limite della rassegnazione ad un allontanamento dei giovani non solo fisico ma soprattutto culturale, fino all’estremo opposto dell’entusiasmo per una prospettiva di rinnovato dialogo con essi, che comporta la scoperta di una riconsiderazione del ruolo non solo delle singole persone – i sacerdoti, gli educatori – che hanno tutte le competenze come educatori, ma anche del ruolo istituzionale della Chiesa di fronte all’inadeguatezza, e a volte l’omissione, di altre istituzioni in cui si muovono i giovani.
Quali le proposte concrete?
Creare nuove forme e spazi e di ascolto, oltre ai canali tradizionali, non molto presi in considerazione tra i giovani. Andare incontro ai giovani negli ambienti e nei linguaggi che praticano, per imparare da loro, imparando dalla logica del Documento preparatorio del Sinodo dei giovani, dove alla fine della prima parte si legge: “Coloro che appaiono perdenti finiscono per rivelarsi vincenti”.
Si è molto sottolineata, inoltre, l’importanza del lavoro di formazione in équipe educative: per generare alla fede, bisogna lavorare molto sulla formazione culturale degli adulti e su un educare all’altezza dei tempi. In questo senso, i giovani sono il punto di approdo del lavoro fatto dalla Chiesa italiana con gli Orientamenti pastorali di questo decennio: la sfida educativa, più che una provocazione, è diventata oggi un invito a razionalizzare le forze, ad orientarle in modo intelligente a servizio del linguaggio, della letteratura, dell’arte intese come modalità da comprendere per stare con loro. Accanto alla crescita degli educatori, è diffusa la richiesta di insistere sulla formazione del clero, per accompagnare i giovani nei loro percorsi di crescita. È stata data, inoltre, molta enfasi alla problematica del lavoro e al ruolo del volontariato – temi già sottolineati dal Papa – ed è giunto l’invito a riconsiderare il rapporto con la scuola e l’università, promuovendo figure complementari dal punto di vista educativo che aiutino a superare il disorientamento culturale e a creare ponti con i diversi ambiti della società.
“Giovani, fede e discernimento vocazionale”, è il tema del Sinodo del 2018. Quale contributo può offrire la pastorale giovanile, in un momento in cui – come si legge nell’Evangelii gaudium – l’urto dei cambiamenti sociali fa sì che le proposte educative non producano, spesso, i frutti sperati?
Tutti i vescovi, durante l’assemblea generale, hanno messo in evidenza il fatto che si ricostruisce, e si costruisce, solo a partire dalla relazione con le persone.
Si tratta di cambiare il modello educativo, molto legato ad una dimensione localistica e spazio-temporale di un certo tipo, a favore di una visione completamente diversa, in cui ciò che diventa determinante è la relazione significativa, la capacità di coinvolgere i giovani, di renderli e di rendersi compagni di viaggio. Ciò implica il passaggio dall’offrire continue risposte alla sempre più affinata arte di suscitare domande.
Come risulta da indagini sociologiche che hanno trovato eco anche nel dialogo tra noi vescovi, nei giovani di oggi non c’è una chiusura ideologica al dialogo: il mondo dei giovani accetta di essere affiancato da quello degli adulti, ma domanda di intrattenere rapporti alla pari, che prescindano o mettano tra parentesi il ruolo e accettino di camminare verso una maggiore personalizzazione della presenza dei giovani nel mondo di oggi.
Una pastorale da persona a persona?
Sì, è questa la grande svolta:
l’umano della Chiesa come via per entrare nell’umano dei giovani
e poi riproporre la verità di Cristo come portatore di una significativa pienezza che vale non solo per i giovani di oggi, ma per quelli di ieri e quelli di sempre. In questo modo, il dialogo tra la Chiesa e i giovani è reciprocamente educativo, perché porta i ragazzi a venire fuori e gli adulti ad essere più liberi.
Mobilità – intesa non come fine a se stessa, ma come qualcosa che ha il sapore della ricerca, del desiderio dei giovani di impegnarsi per cercare un senso alla propria esistenza – e ascolto sono i due binari da percorrere per creare un nuovo incontro tra la Chiesa e i giovani.
In una società che li incatena negli stereotipi e li penalizza su tutti i fronti, compreso il lavoro e il desiderio di famiglia, i giovani di oggi trovano adulti così?
Se vuole essere significativo, un adulto deve farsi compagno di viaggio dei giovani: se invece svolge ancora il ruolo di mediatore, con le sue ricchezze da trasmettere, finisce per non interessare. Per questo è molto importante lavorare sulla comprensione che gli adulti hanno dei giovani. Un esempio per tutti, la tecnologia, che finisce per creare in loro una sorta di onnipotenza tecnologica: ma è una onnipotenza del “know-how”, che nasconde una grande fragilità e solitudine. Ci vogliono, allora, adulti umili e lungimiranti, che si rendano capaci di camminare con loro e di
dialogare con i sogni dei giovani.