Politica
Se è vero che non esiste una legge elettorale perfetta che contemperi tutte le esigenze, l’auspicio è che nell’interesse del Paese si trovino soluzioni che, ancorché difficili, facciano intravvedere la possibilità di uscire dalla crisi economica e istituzionale in cui ci troviamo
Al momento non è possibile dire se presto avremo una legge elettorale e se stiamo andando verso la conclusione anticipata della legislatura. È certo, però, che si sta lavorando per l’una e per l’altra ipotesi. Martedì scorso, infatti, è approdata alla Camera una proposta di legge elettorale che, se tutto procederà per il verso giusto, potrebbe essere approvata definitivamente dal Senato entro il mese di luglio. Nelle ultime settimane, con l’incredulità dei più, si è messo in moto un dialogo, fino a ieri ritenuto impossibile, fra le quattro formazioni politiche maggiori: Partito democratico, Cinque stelle, Forza Italia e Lega. Forze politiche, che fino a ieri se le sono suonate di santa ragione, improvvisamente hanno sospeso le ostilità per tentare di trovare un accordo su una legge elettorale condivisa, anche se avversata dalle formazioni più piccole.
Evidentemente la voglia di votare è così forte da indurre i contraenti a mettere da parte, per ora, pregiudizi e rancori – più di uno aveva giurato che con Renzi non avrebbe mai preso neppure un caffè – e iniziare prove di dialogo democratico. Se questo è l’aspetto positivo della vicenda – che, cioè, le parti si parlino anziché insultarsi – ce ne sono tanti altri che fanno sorgere seri dubbi sulla bontà dell’operazione. Almeno se si guarda al motivo principale per cui si fa una legge elettorale: la governabilità del Paese.
Dopo la bocciatura del referendum, i sostenitori del “no” assicuravano che in poco tempo si potevano avere sia una riforma costituzionale che una legge elettorale. Da quel 4 dicembre sono trascorsi oltre sei mesi senza avere né l’una, né l’altra. Con l’aggravante che il permanente clima elettorale peggiora i problemi del Paese. Che fare? Allungare la lunga agonia dell’Italia o mettersi d’accordo su una legge elettorale e andare subito al voto? I quattro partiti hanno scelto questa seconda ipotesi senza, peraltro, proporre qualche rimedio per rendere, nel frattempo, meno dolorosa l’agonia del Paese. La scelta è caduta su un modello – fra l’altro non gradito né al Pd, né a Cinque stelle – ispirato al sistema elettorale tedesco, da introdurre in una realtà, quella italiana, per nulla identificabile con quella tedesca. E, in più, un sistema che, a detta degli esperti, non risolve il problema della governabilità.
Un vero e proprio compromesso, se si pensa che del sistema tedesco si accantonano talune parti valide, anche se incompatibili con la nostra Costituzione – la sfiducia costruttiva, ad esempio – mentre se ne introducono altre, su tutte la nomina dei candidati, contro le quali diverse forze hanno sempre manifestato assoluta avversità. Basato su un sistema fondamentalmente proporzionale, il “germanellum” – così è stato battezzato – difficilmente indicherà un partito con una maggioranza di seggi per governare da solo. Gli esperti prevedono che per fare un governo si dovrà ricorrere ad alleanze, considerate, allo stato attuale, impossibili. Basti pensare che i grillini hanno dichiarato che il movimento non farà alleanze, “né prima né dopo”. E neppure il problema dei tanto odiati “candidati nominati” trova la desiderata soluzione.
Il sistema tedesco, che si vuole introdurre nella realtà italiana, prevede la formazione di collegi e “listini” formati da candidati già prestabiliti, da votarsi con un sistema complesso, che di facile contiene solo lo “sbarramento” al 5% (entrano in Parlamento solo i partiti che raggiungono questa soglia). Dalla padella, come si vede, si sta per cadere nella brace. E così mentre Renzi ripete che questo non è il suo sistema preferito e Grillo, mettendo a tacere i malumori interni, impone ai suoi di “rispettare questo sistema perché votato dai nostri iscritti”, la conclusione sconcertante è che per i nostri politici qualsiasi sistema elettorale va bene purché si vada a votare. A prescindere dalle conseguenze. Se è vero che non esiste una legge elettorale perfetta che contemperi tutte le esigenze, l’auspicio è che nell’interesse del Paese si trovino soluzioni che, ancorché difficili, facciano intravvedere la possibilità di uscire dalla crisi economica e istituzionale in cui ci troviamo. Anche se con una classe politica – quella vecchia come quella nuova – di questo spessore, c’è poco da stare tranquilli.
(*) direttore “La Vita Diocesana” (Noto)