Il capannone andato in fumo era il più recente dei 32 siti dove finiscono i rifiuti del Veneziano che prendono la via del riciclo. Bisognerà capire perché è bruciato, certo. Ma non per fermarsi: semmai per andare avanti sulla strada dell’eco-sostenibilità
La condizione di fondo per l’incendio di mercoledì mattina all’impianto Veritas di Fusina è che… l’impianto c’era. Dove non c’è non può accadere. Oppure c’è… la Terra dei Fuochi.
L’osservazione non vuole essere offensiva, anche se può apparire brutale. Vogliamo piuttosto dire che un incidente, pur grave, non deve fermare un’operazione di grande rilievo e pregio come quella di cui dispone l’area di Venezia.
Qui, infatti, da anni si è costruito e via via fatto crescere un sistema industriale complesso che avvia al recupero i rifiuti. Delle 407mila tonnellate di rifiuti prodotte in un anno nell’area di Veritas, il 99,6% viene avviato a recupero di materia o di energia, e solo lo 0,38% viene avviato direttamente a smaltimento.
Merito delle scelte di questi anni, compiute dalle istituzioni e dall’azienda di gestione dei rifiuti. Dal semplice sistema di camion che raccolgono la spazzatura e la portano in discarica si è passati ad un sistema industriale complesso, che mira alla piena differenziazione e al recupero di materia e di energia.
Il capannone andato in fumo era il più recente dei 32 siti dove finiscono i rifiuti del Veneziano che prendono la via del riciclo. Bisognerà capire perché è bruciato, certo. Ma non per fermarsi: semmai per andare avanti sulla strada dell’eco-sostenibilità.
(*) Gente Veneta (Venezia)