Cultura
La cultura supera le sbarre. Nelle parole del rettore dell’Università della Calabria, Gino Mirocle Crisci, il compito che l’Ateneo calabrese sta avviando. Ma quello di Cosenza non è il primo modello. Ce ne sono altri in Italia e rispondono alla stessa esigenza: “Dare speranza al territorio e a chi ha sbagliato”
“Attuare lo spirito della reclusione, che deve tendere alla rieducazione”. È questa la mission delle università che aprono le proprie porte ai detenuti. Il luogo del sapere e dei saperi, dell’apertura massima, entra nelle carceri, tra i “ristretti”. La cultura supera le sbarre. Nelle parole del rettore dell’Università della Calabria, Gino Mirocle Crisci, il compito che l’Ateneo calabrese sta avviando. Ma quello calabrese non è il primo modello. Ce ne sono altri in Italia, da Nord a Sud, e rispondono alla stessa esigenza: “Dare speranza al territorio e a chi ha sbagliato”. Ne vediamo alcuni.
Modello Toscana. Dal 2000 è attivo il Polo universitario toscano, che unisce le università di Firenze, Pisa e Siena, grazie anche all’apporto dell’associazione Volontariato penitenziario. Nel 2010 è stato firmato il Protocollo d’intesa per l’istituzione del Polo universitario penitenziario della Toscana. A parlarne è il coordinatore regionale, Antonio Vallini: “Per i detenuti che intendono iniziare un percorso di studi offriamo tutti i corsi delle tre università, a partire da un orientamento iniziale”. Oltre 100 gli studenti iscritti. Da sottolineare il caso Prato, dove all’interno del carcere è presente una “sezione universitaria, dove i docenti, con un permesso speciale, entrano ed escono”.
Sardegna. A Sassari il percorso del Polo universitario penitenziario era iniziato nel 2004 con un accordo con il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Nel 2014 poi un protocollo d’intesa aveva dato inizio a una partnership con il Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria. Quattro le carceri protagoniste: Alghero, Tempio, Sassari e Nuoro. “In totale queste case circondariali hanno un migliaio di detenuti, Sassari oltre 500 in quattro sezioni, Tempio e Nuoro 200 in alta sicurezza, ad Alghero i detenuti comuni – i numeri di Emmanuele Farris, delegato del rettore per il diritto allo studio dei detenuti -. Riguardo a questi sottolineo come, grazie ai premi che ricevono, possono anche seguire le lezioni e vivere l’università, venendo anche a mensa. Ogni anno abbiamo iscritti circa 40 detenuti, la metà dei quali nel carcere di Tempio”.
In Calabria. Già quattro i detenuti laureati all’Università della Calabria. Particolarmente proficua, finora, la partnership con il carcere di Rossano e, in particolare, con il suo cappellano, don Piero Frizzarin. Ma l’obiettivo è un altro. Col modello Firenze, si vuole arrivare a un POLO penitenziario vero e proprio. La parola al delegato del rettore, Pietro Fantozzi: “Per la costruzione di questo polo la nostra volontà è di offrire opportunità anche agli altri due Atenei calabresi. Incontreremo il responsabile regionale del sistema carcerario, nonché i direttori delle 12 case circondariali, anche per stabilire la convenzione da attuare. Poi pensavamo di incontrare tutti i cappellani delle carceri, perché il progetto possa funzionare bene è necessario che tutti quanti sono impegnati nelle carceri sostengano quanti intendono studiare”.
Servizi. Tra le esigenze, assicurare diritti agli studenti detenuti. Presso il polo di Sassari – il Comune ha istituito anche un Garante dei diritti – gli studenti detenuti conservano le agevolazioni “per tutto il percorso di studi a prescindere dal fine pena”, dice Farris. Tra queste spiccano “il pagamento di una tassa minima a prescindere dal censo, l’aiuto per l’acquisto dei libri e il prestito interbibliotecario tra le biblioteche carcerarie e quelle universitarie”. Di “servizio prestito della biblioteca interna al carcere” parla anche Vallini, che sottolinea come presso la casa circondariale di Prato vi siano anche i pc e la possibilità di collegamento telematico e audiovisivo. “Anche per gli esami attraverso videotelefono”.
Materie scelte. Scienze politiche, giuridiche e agrarie. Sono questi i corsi di laurea scelti prevalentemente dagli studenti di Sassari. “La scelta riflette sostanzialmente la propria situazione personale, anche di esperienze precedenti”, spiega Farris. Insomma, chi ha avuto esperienze in agricoltura è portato a scegliere scienze agrarie. Agraria si conferma tra le lauree più scelte anche nel Polo penitenziario fiorentino, come dice Vallini, insieme a “scienze politiche, scienze della formazione e lettere. Ma stiamo portando avanti anche una laurea in medicina”.
In rete. Farris sottolinea l’importanza dell’esistenza di un “garante che chiama a raccolta le Istituzioni, le associazioni. Qui si lavora bene con il territorio ed è necessario perché da solo non ce la fai”. Per questo sono importanti le risorse umane nel tutoraggio. “Noi abbiamo pensato di coinvolgere le associazioni studentesche, non solo come volontari, ma anche riconoscendo loro dei crediti. Per un servizio volontario ci affidiamo invece ai professori in pensione”. Riprende Fantozzi: “Insieme alle educatrici, il ruolo dei volontari esterni è fondamentale altrimenti difficilmente si riesce a realizzare un sistema che funzioni. Il servizio, infatti, deve portare a una crescita vera, e la riabilitazione deve avvenire con uno sforzo, con un impegno, con il sostegno di tutti”.
Missione compiuta. Vallini è convinto del buon esito del lavoro realizzato in seno al Polo. “Siamo molto soddisfatti non solo per il numero dei laureati, ma anche perché molti di essi, anche se non sono arrivati a conseguire la laurea oppure non possono poi concretamente spenderla sul territorio, dopo aver vissuto l’esperienza della studio, hanno scoperto un carcere alternativo. Per questo si vedono effetti nella rieducazione”. A fargli eco è Farris, che ricorda come “a livello nazionale la recidiva è molto alta ma diminuisce per quei detenuti che hanno un percorso di studio, di lavoro, di pene alternative”. A Cosenza invece hanno conseguito la laurea anche degli ergastolani ostativi. “Per questi il titolo è servito soprattutto a loro – spiega Fantozzi -. Siamo arrivati a 11 persone iscritte e questo vuol dire che è cambiato il clima in carcere e lo studio è diventato un elemento di emulazione”.