Politica
“Il Pd – spiega l’esperto – ha due problemi paralleli. Il primo è come non rimanere vittima del suo sostegno al governo, diventando il parafulmine di tutti. Il secondo è di ricostruire un partito che non è più né quello radicato sul territorio né quello trascinato da un leader solitario. Ha bisogno di un progetto credibile di rilancio che dimostri di saper raccogliere le migliori forze del Paese”
Dopo la ventata di bipolarismo delle elezioni comunali, l’Italia politica riparte da un astensionismo sempre più forte, dai poli che restano tre – e non due – e dalle difficoltà del partito che esprime il governo in carica. Ne abbiamo parlato con Paolo Pombeni, professore emerito dopo essere stato ordinario di Storia dei sistemi politici europei e di Storia dell’ordine internazionale presso la Scuola di scienze politiche dell’Università di Bologna. Pombeni fa parte della direzione della rivista “Ricerche di storia politica”, che ha fondato, e dell’editorial board del “Journal of Political Ideologies”. Ha diretto l’edizione critica degli scritti e discorsi politici di Alcide De Gasperi. Attualmente dirige il periodico on line “Mente politica”, è membro del consiglio editoriale dell’editrice “Il Mulino” e del comitato di direzione dell’omonima rivista. Dal 1972 cura anche una rubrica di analisi politica su “Vita Trentina”.
L’affluenza alle urne è stata molto bassa, addirittura al di sotto della metà degli aventi diritto. Come lo spiega?
Purtroppo è un trend che si sta sviluppando da tempo. Temo che ci sia dietro la convinzione che tutto sommato, chiunque sia al potere, le cose andranno come devono andare.
Sta venendo meno la fiducia nella capacità della politica di incidere sulla realtà. È una convinzione che io reputo sbagliata, ma che sta prendendo sempre più piede.
C’è da dire, peraltro, che in Italia eravamo abituati male. Una partecipazione al voto estremamente bassa specialmente nelle elezioni locali la troviamo in molte democrazie occidentali e, penso per esempio agli Usa, in misura molto più accentuata che in Italia.
La percezione è che in quest’ultima tornata l’astensionismo abbia penalizzato soprattutto il Pd e ciò è tanto più sorprendente se si pensa che storicamente in Italia sono state le forze “progressiste” quelle dotate di una maggiore capacità di mobilitazione…
Il problema è che a sinistra non si è più capaci di esprimere un partito d’opinione. Si assiste a una continua lotta tra “fratelli coltelli” per cui o ci si mobilita per piccoli interessi di gruppo o non ci si mobilita più. Anche perché al progressismo non crede più nessuno. Viceversa il centro-destra, al di là di certe intemerate della Lega, si riesce ancora a riconoscere in una cultura sostanzialmente omogenea. Un altro problema è che a sinistra il professionismo politico legato al territorio è rimasto molto più forte che altrove e questo finisce spesso per scoraggiare gli apporti nuovi. Esattamente il contrario di quanto avviene per il M5S dove si ha l’impressione – giusta o sbagliata che sia – che si apra una prateria per tutti.
Resta il fatto che per i comuni si è votato con un sistema fortemente maggioritario mentre a livello nazionale alla riforma elettorale non pensa più nessuno.
Mi sembra che ormai tutti puntino sul proporzionale che a ben vedere è il sistema che tutela di più i gruppi dirigenti.
Il centro-destra ha vinto le elezioni comunali presentandosi unito. A livello nazionale, però, le differenze tra Forza Italia e Lega sui grandi temi – l’Europa, per esempio – sembrano difficilmente componibili.
È evidente come nelle elezioni locali le differenze sui grandi temi risultino molto sfumate. Ma io resto convinto che sul centro-destra alla fine sarà possibile trovare una quadra anche a livello nazionale, proprio perché, come dicevo prima, un’identità comune esiste, magari anche nei termini di un’idea revanchista di ritorno al potere.
Se a sinistra manca la capacità di essere partito d’opinione, viceversa al Movimento 5 Stelle si rimprovera di essere soltanto un partito d’opinione e a questo si attribuisce il risultato deludente delle comunali.
Il Movimento 5 Stelle, a mio parere, non è un partito d’opinione, ma un partito di utopia e, a livello locale, è difficile muoversi su questo terreno.
A meno che non si individuino delle personalità capaci di coagulare un consenso sul territorio, com’è accaduto a Torino, o che, come a Roma, la situazione di sfascio sia tale da provocare una reazione forte.
Il paradosso attuale è che proprio il partito che appare più in affanno, il Pd, è quello che esprime il governo.
Il Pd ha due problemi paralleli. Il primo è come non rimanere vittima del suo sostegno al governo, diventando il parafulmine di tutti. Il secondo è di ricostruire un partito che non è più né quello radicato sul territorio né quello trascinato da un leader solitario. Ha bisogno di un progetto credibile di rilancio che dimostri di saper raccogliere le migliori forze del Paese.