Sfida educativa
L’impegno dell’imparare a vivere insieme con gli altri è considerato una sfida educativa chiave del nostro tempo, alla quale non ci si può sottrarre perché compito irrinunciabile di tutti, senza eccezione. Sulla base degli apporti di alcuni organismi internazionali – in particolare Unesco e Consiglio d’Europa – Hiang-Chu Ausilia Chang, coreana, docente emerito di didattica generale e di Pedagogia comparata presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”, in un articolo per la “Rivista di Scienze dell’educazione”, focalizza la necessità di educare a vivere insieme nella cultura dei diritti umani. L’esperta presenta il programma permanente “Education for All” dell’Unesco come strategia del vivere insieme, educazione inclusiva, di qualità, integrale e solidale come via da percorrere per il futuro, ed educazione interculturale come opportunità per insegnare a vivere insieme. La docente conclude mettendo in evidenza come tali prospettive, e la stessa “Education for All”, per realizzarsi, devono collocarsi nella prospettiva dell’imparare ad amare, sfida globale emergente oggi e considerazione assente nelle suddette prospettive esaminate e raramente presente fuori dell’ambito cattolico. Per gentile concessione della Rivista pubblichiamo la conclusione di Chang.
Tutte le cosiddette “educazioni a” (1), come l’educazione per tutti, l’educazione di qualità, inclusiva, solidale, integrale, interculturale, permanente, sono fondamentalmente vie, condizioni, strategie per imparare a vivere insieme. Lo stesso principio dell’inclusione non si realizza se non coltivando l’autentico amore di ogni persona nei confronti degli altri e di ogni istituzione in rapporto con le altre. L’amore, cioè, è il veicolo che dimostra concretamente il rispetto fattivo e incondizionato della pari dignità di ogni persona umana, di ogni popolo, di ogni cultura.
Ritenere che tutti gli uomini e le donne siano parte della stessa famiglia suppone che si sia interpellati a fare un’esperienza autentica e ricca di amore nelle singole famiglie, luogo dove si impara ad amare gli altri a partire dall’amore disinteressato che si riceve gratuitamente da coloro che ci mettono al mondo. Il dramma della disgregazione delle relazioni familiari e della violenza domestica svela come sia paradossale il fatto che, mentre tutti gli esseri umani – per imparare ad amare e a vivere in pace e armonia con gli altri – necessitano di fare l’esperienza di essere amati, certi stili di vita – incentrati sul successo personale, sulla competitività, sulla ricerca dell’effimero e della ricchezza – contraddicano tale aspirazione rendendo così l’uomo meno uomo.
Come educatori dobbiamo aggrapparci con convinzione all’utopia necessaria dell’imparare a vivere insieme, inteso come compito e vocazione di ogni singolo essere umano e dell’umanità intera. Tale utopia più concretamente si realizza imparando ad amare gli altri come se stessi, ethos fondamentale che attraversa la storia (2). Di qui la convinzione che imparare a vivere insieme comporta imparare ad amare.
Il progresso di una società si misura in base al grado di attenzione che si presta alle persone emarginate (3). Allora, anziché limitarsi a proclamare il principio dell’inclusività, è necessario attivarsi perché tale principio si concretizzi promuovendo – attraverso l’educazione – la visione positiva dell’altro, esercitando equamente la giustizia, preoccupandosi che i diritti umani siano rispettati, che è quanto dire, amando gli altri come nostri fratelli e sorelle. Bisogna quindi imparare a vivere insieme perché chiamati ad amare nel senso inteso da Karol Wojtyła, ovvero volere il bene dell’altro (4). Qui l’amore si coniuga e trova alimento nella carità cristiana: “L’amore è paziente, è benigno l’amore; non è invidioso l’amore, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. L’amore non avrà mai fine” (1Cor 1-13).
Si torna così all’urgenza di recuperare il significato dell’educazione nell’oggi e per l’oggi e cioè lo sforzo per la promozione della crescita integrale dell’altro nell’ottica dell’identità solidale “che esprime la verità sull’uomo, su Dio, sul mondo, quindi sulle loro relazioni” (5).
Per concludere, si può sottoscrivere quanto afferma il documento della Congregazione per l’educazione cattolica, “Educare al dialogo interculturale nella scuola cattolica. Vivere insieme per una civiltà dell’amore”, ovvero, il “nesso cruciale e strategico che lega ‘amore dell’educazione’ ed ‘educazione all’amore’ come elementi essenziali, tra loro inscindibilmente connessi, in cui lo sguardo dell’educatore e quello dell’educando siano reciprocamente orientati al bene, al rispetto e al dialogo” (6).
Solo una vera e integrale educazione, quindi, può garantire il raggiungimento degli obiettivi del vivere insieme e del costruire la convivenza sui pilastri della ricerca del bene comune, dell’amore vicendevole, del rispetto di tutti e della vera inclusione.
Rimane un’utopia? Preferiamo crederla una necessità
e, da professionisti dell’educazione, vogliamo assumerla come una sfida da realizzare con la logica dei passi graduali e progressivi, nel rispetto dei ritmi di tutti, ma con la determinazione di chi non si scoraggia di fronte alle difficoltà e ai problemi. Perché non conosciamo altra via efficace per raggiungere una reale convivenza umana fraterna e solidale.
(1) Le cosiddette “educazioni a” indicano fondamentalmente l’educazione ai valori che sono temi trasversali in quanto attraversano tutte le discipline di studio. È nota la sigla coniata da Luciano Corradini, ossia “EDDULLPSSSSSSSIIAALAIEM”: Educazione ai Diritti Umani, alla Democrazia, alla Libertà, al Lavoro, alla Pace, allo Sviluppo, alla Salute, alla Sessualità, alla Sicurezza Stradale, al Senso, al Sacro, allo Studio, all’Identità, all’Intercultura, all’Ambiente, all’Alimentazione, all’Italia, all’Europa, al Mondo (cf CORRADINI Luciano et al., Educazione civica e cultura costituzionale. La via italiana alla cittadinanza europea, Bologna, Il Mulino 1999). In un certo senso, tali “educazioni a” si riferiscono anche alle Soft/Essential Skills che la scuola e l’educazione in genere non possono trascurare.
(2) Rispondendo alla domanda rivoltagli sul primo dei comandamenti, Gesù disse: «Il primo è: “Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. E il secondo è questo: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più importante di questo» (Mc 12,29-31).
(3) Il principio dell’inclusività può essere visto anche in questa luce, cioè come seme di speranza per un mondo che può essere globalizzato positivamente e costruttivamente. Per un discorso didattico cf D’ALONZO Luigi, La differenziazione didattica per l’inclusione. Metodi, strategie, attività, Trento. Erickson 2017.
(4) Wojtyła ha delle pagine stupende sull’amore. Egli scrive ad esempio: «Non basta desiderare la persona come un bene per sé, bisogna inoltre, e soprattutto volere il bene di lei. Questo orientamento della volontà e dei sentimenti, altruista per eccellenza, viene chiamato da san Tommaso “amor benevolentiae” o “benevolentia” soltanto. L’amore di una persona per un’altra deve essere benevolente per essere vero, altrimenti non sarà amore ma soltanto egoismo. […] La benevolenza è il disinteresse in amore […]: “Io desidero il tuo bene”, “Io desidero ciò che è un bene per te”. Una persona “benevolente” desidera questo senza pensare a se stessa, senza tener conto di sé. […] È l’amore che perfeziona al massimo il suo soggetto e che riesce a realizzare nel modo più perfetto tanto l’essenza del soggetto quanto quello della persona verso la quale è orientato» (WOJTYŁA Karol, Amore e responsabilità, in ID., Metafisica della persona. Tutte le opere filosofiche e saggi integrativi, a cura di Giovanni Reale e Tadeusz Styczeń, Milano, Bompiani 2005, 539).
(5) CHANG, Scuola e formazione 111. Il titolo del seguente volume fa riflettere: TURKLE Sherry, Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri [Alone together. Why expect more from technology and less from each other, NY, Basic Books 2011], Torino, Codice 2012. Non bisogna, d’altro canto, sottovalutare le capacità positive di stare soli (cf ARNETT Jeffrey Jensen, Learning to stand alone. The contemporary Transition to Adulthood in cultural and historical context, in Human Development 41[1998]5/6, 295-315).
(6) CEC, Educare al dialogo interculturale n. 47.