L'intervista
Maxiblitz in Calabria: 116 persone delle più importanti cosche del “mandamento” della Locride e della città di Reggio Calabria sono state arrestate. A questo si sono aggiunte le operazioni antimafia in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 54 persone a Catania e 27 in Puglia. Ne abbiamo parlato con Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare Antimafia
“Dobbiamo essere sicuri che lo Stato ha vinto e se vuole vince. Ma dobbiamo anche essere consapevoli che la mafia del tutto non l’abbiamo sconfitta”. Così Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare Antimafia, commenta le operazioni delle forze dell’ordine che, nelle prime ore di oggi (4 luglio), hanno portato all’arresto di circa duecento persone tra Locride, Puglia e Catania per numerosi reati tra cui quello di associazione mafiosa, scambio politico elettorale-mafioso, corruzione, estorsione e riciclaggio.
Presidente, che segnale rappresentano questi arresti?
Il segnale è duplice. Il primo è sicuramente molto positivo perché dimostra, ancora una volta, che l’attività della magistratura e delle forze di polizia contro le mafie è efficace e colpisce i territori nei quali la loro presenza ha una pervasività molto forte e molto condizionante. Puglia, Catania e Locride, soprattutto, sono la dimostrazione che lo Stato c’è e non declina le proprie responsabilità.
E il secondo segnale?
È che, purtroppo, anche la mafia c’è: assicuriamo molti alla giustizia ma permane la presenza della mafia nel giro degli affari, nel traffico della droga, in attività illecite e lecite.
Resta una presenza importante e pericolosa. E chi la nega dimostra una grande irresponsabilità.
Sul fronte della lotta, lo Stato non indietreggia…
Lo Stato c’è, i risultati si ottengono. Dobbiamo continuare su questa strada rafforzando la prevenzione come cittadini, sapendo che si dovrebbe neutralizzare la presenza delle mafie prima delle forze dell’ordine non accettando alcun tipo d’interlocuzione e di complicità ma anche ribellandosi alla loro capacità intimidatoria. Perché queste restano le strade principali per combattere le mafie.
Le tre operazioni hanno riguardato Regioni del Sud Italia. È ancora lì che le mafie sono più presenti e attive?
In questi anni abbiamo assistito a una capacità d’infiltrazione e d’insediamento delle mafie fuori dai loro territori tradizionali. Dal Nord al Centro Italia, ne sono la prova i diversi scioglimenti delle amministrazioni comunali. Ci sono sentenze ormai con il sigillo della Cassazione che hanno rimandato alla presenza della ‘ndrangheta a Milano piuttosto che a Torino o in Emilia. Le mafie sono in tutto il mondo ma la casa madre resta nelle Regioni del Sud Italia. La casa madre della ‘ndrangheta è nelle provincie di Reggio Calabria e Vibo Valentia, nella Locride. Così come è forte il radicamento della mafia catanese, in particolare dei Santapaola, che è di molti anni e rappresenta un caso anomalo rispetto alla mafia palermitana, i cui capi sono stai assicurati alla giustizia e di cui non si sente più parlare se non perché sono in regime di 41 bis. Le famiglie catanesi, invece, continuano a fare da padrone sul territorio di Catania continuando a essere legate ai loro nomi originali.
Fra due settimane sarà l’anniversario della morte di Paolo Borsellino e della sua scorta. A che punto siamo nella lotta alla mafia rispetto a 25 anni fa?
La mafia delle stragi di Falcone e Borsellino, quella degli anni 1992-93, è stata sconfitta e assicurata alla giustizia. Ma non è stata sconfitta e sradicata la mafia in Italia. Cosa Nostra è sicuramente più debole, in qualche modo confinata in un territorio dove svolge un certo tipo di attività. Non è più un’interlocutrice come forse lo è stata per anni anche dei poteri del Paese. Però la ‘ndrangheta si è sviluppata ed è cresciuta.
C’è stata una mutazione, quindi?
Anche sotto l’azione dello Stato che ha vinto la battaglia,
la mafia è stata costretta a cambiare: oggi spara meno ma corrompe di più.
Continua a svolgere attività illecite come quelle legate al traffico di stupefacenti ma investe e ricicla il denaro in attività legali. Inquina il mercato, mantiene il suo stile predatorio. Usa meno la violenza anche perché, paradossalmente, trova più complicità di prima nei cosiddetti colletti bianchi, nei professionisti, in quella zona grigia che io definirei anch’essa nera.