Esperienze

Carcere di Varese, detenuti e studenti gomito a gomito. “Percorsi a confronto” per educare alla legalità

L’iniziativa, proposta dal 2014, è stata premiata dalla Regione Lombardia tra i migliori progetti sulla legalità e porta gli studenti delle scuole superiori dietro le sbarre, a lavorare e a trascorrere il tempo a stretto contatto con altri giovani, che quella soglia l’hanno passata per scontare una pena. Cineforum, laboratorio di cucina, scrittura creativa, queste alcune delle attività che carcerati e ragazzi svolgono insieme

“Incontro persone diverse, respiro un po’ di normalità, posso spiegare ai ragazzi l’importanza di non sbagliare, perché qui ci finisci per delle cavolate”. Davide P., 24 anni, è seduto su uno sgabello, ha preso una piccola pausa dai fornelli per parlare, ma non è alla cucina che si riferisce, bensì alla casa circondariale di Varese, dove sta scontando una condanna per spaccio. Ha deciso di partecipare al progetto “Percorsi a confronto” organizzato a partire dalle linee guida del Provveditorato regionale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria della Lombardia. L’iniziativa, proposta dal 2014, è stata premiata dalla Regione Lombardia tra i migliori progetti sulla legalità e porta gli studenti delle scuole superiori dietro le sbarre, a lavorare e a trascorrere il tempo a stretto contatto con altri giovani, che quella soglia l’hanno passata per scontare una pena. Cineforum, laboratorio di cucina, scrittura creativa, queste alcune delle attività che carcerati e ragazzi svolgono insieme, guidati da Maria Mongiello, responsabile Area trattamentale, Sergio Preite, educatore professionale e formatore di Enaip, e dai docenti delle scuole della provincia di Varese aderenti.

Un’occasione di condivisione. Mentre si concentrano sui fornelli, tutti sembrano dimenticare dove sono. Gomito a gomito, ristretti e studenti impastano la pizza, preparano mandorle caramellate, intagliano la frutta. La testa di un cigno che una ragazza ha ricavato da una mela si spezza, uno dei detenuti prende uno stuzzicadenti e la riattacca al resto del corpo, poco più in là due giovani apparecchiano la tavola; che uno dei due sia stato condannato per un reato al momento pare un dettaglio. Si parla del più e del meno; certo c’è l’imbarazzo di non conoscersi, ma dietro la timidezza ci sono la voglia di raccontare e la curiosità di ascoltare.

“Sono qui da sei mesi – prosegue Davide – quando i carabinieri sono venuti a prendermi è crollato il mondo, non me l’aspettavo proprio perché pensavo di aver chiuso. Ho perso il lavoro, la ragazza, la mia famiglia soffre, gli amici sono lontani”.

Non si aspettava di finire in prigione per la terza volta, la prima per qualche giorno e la seconda per un mese prima di essere assegnato ai domiciliari. “Dal 2015 avevo messo la testa a posto, mi trovo qui per il primo reato che ho commesso, ero ancora minorenne e pensavo che sarebbe andato tutto in prescrizione diventando maggiorenne, invece non è così. Avrei voluto pagare subito il mio errore, non ora che avevo iniziato a costruire una vita”.

Anche Aldousz, 28enne albanese condannato per furto, sperava di cavarsela. “Ho iniziato a rubare perché pensavo che così avrei potuto vivere meglio. Lavoravo, però i soldi non bastavano per vivere, ho conosciuto degli amici che rubavano e ho visto che stavano bene, così ho iniziato anche io. Ogni colpo avevo paura, capivo che era una cosa sbagliata, quando mi hanno arrestato ero terrorizzato, sono stato portato a San Vittore, ma non sapevo neppure dove fosse”. E ancora:

“I primi mesi, quando ero solo, avevo mille pensieri, sentivo il vuoto, ora c’è soprattutto il senso di colpa. Questo è tempo perso della mia vita, che mi terrà indietro quando sarò fuori”.

Dare senso al tempo. Davide, Aldousz e gli altri hanno aderito a “Percorsi a confronto” e ai corsi organizzati nella casa circondariale per passare il tempo, ma anche per trasmettere la loro esperienza agli studenti. “Mi sono iscritto subito a tutti i progetti – spiega il primo – perché altrimenti vai fuori di testa; hai tanti pensieri, mia mamma che sto facendo soffrire e ho paura stia male per colpa mia, la ragazza che non ho più, il mio cane Leo che vorrei vedere perché è il mio migliore amico, ma che è anziano e non so se sarà ancora vivo quando uscirò”.

“Sono stati gli educatori – fa eco il secondo – a propormi di partecipare, mi sono fidato, so che cercano di aiutarci, così non facciamo di nuovo i deficienti. Mi sta facendo bene, anche perché un giorno con un progetto passa più in fretta e dimentichi dove sei”.

Un’alternativa a giornate sempre uguali: “Ti svegli tra le 8 e le 9 – racconta Davide – e se non hai corsi stai appoggiato al ballatoio a parlare, ma alla fine fai sempre gli stessi discorsi. ‘A te quanto manca?’ ‘Ah poco, sto aspettando il pullman’. Giochi a carte, guardi la tv, fumi, stringi qualche amicizia, ma sono ‘amicizie in galera’, è difficile che sopravvivano”.

Perché il carcere è una dimensione parallela e i ragazzi delle scuole lo capiscono poco per volta.

“Mi sono iscritto per saltare ore di scuola – dichiara Federico Beri, uno di loro – ma mi sono ricreduto: il progetto è stato molto interessante, conoscevo già diverse cose che ci hanno detto, ma è una bella occasione per chi non le sa e per i detenuti, che possono vivere un po’ il mondo esterno e respirare normalità”. Dopo il laboratorio i ristretti tornano in cella, i ragazzi recuperano gli smartphone, li accendono, varcano la soglia, rientrano nel mondo. “Spero di tornare dove lavoravo prima – confida Davide – magari di guadagnare quanto serve per lasciare l’Italia. Vorrei tornare a fare una vita normale”.