Testimonianze
Il ricordo dei parroci, che si sono avvicendati a Lampedusa dal 2013 ad oggi: don Stefano Nastasi, parroco dal 2007 al 2013; don Mimmo Zambito, parroco dal 2013 al 2016; don Carmelo La Magra, parroco dal 2016…
Oggi, 8 luglio 2017, in un calendario trasformato ormai in un tragico martirologio di migranti naufragati e di marittimi salvatori e confessori dell’umanità, a fronte di chi si gira dall’altra parte, chiudendo porte e porti, ricorre il quarto anniversario della visita di Papa Francesco a Lampedusa.
Quella visita, che fu anche il primo viaggio del Pontificato, è stata un “segno dei tempi” perché, come ha scritto mons. Giancarlo Perego, allora direttore della Fondazione Migrantes e oggi arcivescovo di Ferrara-Comacchio, nell’introduzione al testo “Chi ha pianto?” (Tau Editrice) – dedicato alla visita del Papa all’Isola – non solo ha indicato a tutti il cammino dei popoli, ma ha anche ricordato che la Chiesa cammina con i popoli.
Nella maggiore delle Pelagie, il Pontefice, dopo avere lanciato in mare una corona di fiori in memoria dei migranti morti nel Mediterraneo, incontrando alcuni giovani migranti sul Molo Favarolo, luogo di approdo dei migranti, parlò di globalizzazione dell’indifferenza e di una società che ha dimenticato l’esperienza di piangere… (ascolta l’omelia del Papa).
A quattro anni di distanza ho chiesto a tre preti, che a Lampedusa sono o sono stati parroci della parrocchia San Gerlando, di commentare il primo viaggio apostolico di Papa Francesco.
Ecco cosa mi hanno detto:
Don Stefano Nastasi, parroco di Lampedusa dal 2007 al 2013, è stato colui che dopo l’elezione di Papa Francesco ha scritto al Santo Padre, invitandolo a venire a Lampedusa (leggi il testo integrale della lettera) e sempre lui, insieme all’arcivescovo Francesco Montenegro, ha accolto il Papa qui e lo ha accompagnato in tutte le tappe del breve, 5 ore appena, ma intenso viaggio.
“A distanza di quattro anni – ci dice don Stefano – ripenso la visita di Papa Francesco a Lampedusa e riaffiora in me l’icona di un incontro né fortuito, né casuale, ma fortemente voluto, atteso, sperato da una comunità paradossalmente centro del Mediterraneo poiché periferia d’Italia e d’Europa. Farne memoria – continua – è inevitabilmente rivivere – cogliendone nuove significazioni – quella sorta di
“sacramento” della fraternità
che è gioia della paternità di Dio. L’incontro con il vescovo di Roma – continua don Stefano sfogliando le immagini della visita che conserva gelosamente sul cellulare – in quel preciso contesto spazio-temporale, rimandava a tanta sofferenza: il dolore vissuto e condiviso con l’intera comunità isolana, con i migranti e con tutti gli attori della macchina della prima accoglienza. Vidi, e vedo tutt’oggi, in quell’incrocio di sguardi, di parole e di silenzi tra il Santo Padre e la sua gente, il fluire di un’unzione, il penetrare nelle fibre più remote della carne di un balsamo che risana, di un olio che ridona forza per nuovi cominciamenti.
La forza dell’immagine, forse è troppo ardita tuttavia, oserei dire che, il Papa venne a crismare la comunità, a rafforzarla nella sua conformazione al Cristo povero e crocefisso.
La confermò nel suo farsi
Samaritano nel Mediterraneo,
ad essere porta di speranza in un oceano di disperazione e violenza. Di quella visita, così fuori dal comune, volutamente al riparo dal cliché istituzionale di certo rimane la traccia di una presenza paterna, quella di Francesco, che non disdegna di accompagnare i passi di un’umanità resa fragile fino allo stremo dagli egoismi prepotenti di chi governa e decide la crocifissione di uomini e popoli. Se è già profetico l’accompagnamento, alla profezia del gesto, il Papa unisce quello della parola, facendosi voce tuonante di chi non viene – di proposito – ascoltato. Il Santo Padre da Lampedusa non parlò per pochi, ma al mondo.
Da lì, e poi andando altrove, senza alcuna fatica, ha mostrato la sua prossimità, il suo stare accanto ai sofferenti e ai soli, il suo stare dalla parte degli esclusi e degli scartati.
A Lampedusa, il Papa, venuto dagli estremi confini del mondo, ha pronunziato parole di esorcismo sulla globalizzazione dell’indifferenza. Ha aperto gli occhi, di tanti, troppi ciechi, a prospettive altre rispetto a quelle miopi del calcolo, dell’efficienza, del tornaconto ‘costi quel che costi o vada comunque vada’. L’altro non è, né può essere ridotto a merce nel mercato degli accordi delle politiche nazionali e internazionali. L’altro, l’uomo, la persona, maschio o femmina, nero o viso pallido, cristiano o musulmano… è sacramento di Dio: ne porta l’immagine, ne reca, pur nelle tante deformazioni, la somiglianza.
L’eredità di quel giorno è tutta concentrata nell’incontro con un grande patriarca, un novello Pietro di Galilea che, memore dei gesti e delle Parole del Maestro e Signore, nella forza scompigliante dello Spirito, ridesta l’antica e mai obsoleta, seppur archiviata e bistrattata, compassione del cuore.
Sì, quella compassione capace di custodire e alimentare la fiamma che sembra smorta e generare vita laddove il pollone appare avvizzito. L’eredità di quel giorno sta nel saper tornare a piangere, a versare lacrime, che aprono il cuore alla condivisione di ciò che si è e di ciò che si ha”.
Don Mimmo Zambito, parroco di Lampedusa dal 2013 al 2016, parla di “Francesco creativo”. “La visita di Francesco – venuto dal confine del mondo ai confini d’Europa e d’Africa l’8 luglio 2013 a Lampedusa – continua a qualificarsi come un atto di creatività. Non ci si attendeva che un inizio di Pontificato fosse così fuori da ogni statica e rassicurante consuetudine. Un gesto di semplicità estrema per un ministro di Dio. Egli sta in mezzo, davanti e, a volte, come pastore e ultimo dei servi, in coda a sospingere il cammino del popolo fedele di Dio. Il Papa sul Molo Favarolo, unico approdo di un’isola di appena 20 km quadrati, stringe la mano e incrocia lo sguardo di giovani migranti. Celebra messa e pone quattro domande, due dalla Scrittura, una dalla letteratura. L’ultima dettata dal cuore e dalla comune umanità:
chi ha pianto? Un gesto e una domanda che rimandavano alla spiritualità. Come stare nel mondo al passo di Cristo uomo Dio? E alla politica: come essere cittadini e costruire relazioni promuovendo umanità?
Un gesto creativo pone l’Italia salvando donne, bambini e uomini a pericolo di naufragio. Un gesto creativo lo fa la comunicazione quando presenta i migranti non come straccioni ma, come noi, camminanti nel viaggio della vita.
Un gesto invece insulso e banale, distruttivo e mortale è quello che l’Europa continua a fare.
Dopo aver tirato su muri, ora vuol chiudere i porti. Un gesto creativo sta all’origine dell’Europa, quando Schuman nel 1950 dichiarò che la morte procurata alle popolazioni europee per l’odio vicendevole tra francesi e tedeschi, non aveva più titolo e anzi l’Europa doveva essere terra di pace e il suo futuro strettamente legato all’Africa.
Gesti creativi, singoli e associati, famiglie e volontari, cittadini europei e di tutto il mondo stanno ponendo non solo accogliendo ma integrando in nuove forme sociali.
L’Europa non si è ancora fatta secondo il gesto creativo di Schuman. E ancora non si è fatto l’uomo nuovo, secondo Papa Francesco a Lampedusa.
Umanità ed Europa nuova possono ancora ricrearsi.
Un gesto creativo e una parola costruttiva sono quelli che ci aspettiamo ancora e di più dai governi che, mentre chiudono porti, stanno precludendo vita ai migranti, cittadini europei d’elezione. Ed anche a noi precludono vita, uccidendo il futuro di questi popoli chiamati con unico nome.
Infine don Carmelo La Magra, dal 2016 parroco di Lampedusa. Don Carmelo – che il 27 aprile scorso durante il Forum internazionale di Azione cattolica ha consegnato al Papa un testo con il Nuovo Testamento e i Salmi in lingua inglese, ritrovato su uno dei barconi giunti a Lampedusa ed ha raccolto le lacrime del Papa che baciando il testo e, ricordando quel viaggio, ha di nuovo pianto – ci dice che “non è facile a quattro anni dalla visita del Papa a Lampedusa, fare un bilancio dell’eredità che il suo passaggio sull’isola ha lasciato.
L’8 luglio 2013 è tra le giornate che maggiormente hanno segnato la vita dei lampedusani e non solo.
Tanti – continua don Carmelo – dopo le sue parole si sono chiesti cosa fosse possibile fare perché alcune cose non accadano mai più, tanti continuano a chiederselo e, ancora spinti da quel messaggio, cercano di rimboccarsi le maniche per dare dignità e accoglienza a uomini, donne e bambini.
Numerose realtà ecclesiali, e non, hanno avviato processi di conoscenza e solidarietà che, partendo dalla nostra Isola, li hanno poi visti impegnati nelle città e luoghi di origine; per molti è stato l’inizio di un modo nuovo di vedere la realtà e di incontrare l’altro. La stessa comunità ecclesiale che vive sull’isola non può che fare suo l’invito alla prossimità che viene dalla visita del Papa, sforzandosi di
essere prima che Chiesa-per gli altri Chiesa-con, nella logica dell’incarnazione.
Alla domanda di Francesco: Chi ha pianto? – conclude don Carmelo – continua ad esserci una solo risposta: ha pianto il Papa e tutti gli uomini e le donne che, insieme con lui, si sono sforzati di vedere negli eventi presenti il passaggio dell’umanità più che la minaccia dei confini; ha pianto la comunità di Lampedusa, fatta di gente normale, non di eroi, quando non riesce a dare risposte significative ai volti dei ragazzi che scorrazzano per le nostre strade e sembrano elemosinare speranza; hanno pianto tutti gli uomini e le donne di buona volontà che, per mestiere o missione, solcano il mare cercando di salvare vite.
Certamente non piangono ancora i potenti della terra che, mentre il mare si sporca di sangue, continuano proprio in questi giorni, a giocare a Risiko sulle loro scrivanie.
Della visita del Papa forse rimane poco fuori da Lampedusa. Il Santo Padre chiedeva nella sua omelia: ‘Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle?’, ma ancora ‘la globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti ‘innominati’, responsabili senza nome e senza volto’”.
Insomma, una data, quella dell’8 luglio, che la comunità civile ed ecclesiale sembra avere già consegnato agli annali ma che merita più attenzione a ricordo (nel senso etimologico del termine, far passare dal cuore, far rivivere dentro e nella vita le esperienze passate) della potenza dei gesti e della forza dirompente delle parole del viaggio/pellegrinaggio di Papa Francesco.
(*) direttore “L’Amico del Popolo” (Agrigento)