L'intervista
Parla il procuratore della Repubblica di Catanzaro: “La donna è quella che tiene acceso il fuoco della vendetta e che carica gli uomini per andare ad uccidere. C’è un lavorio psicologico sull’uomo. La loro è un’azione propulsiva”
C’è un protagonismo delle donne nella ‘ndrangheta? E qual è la loro azione sugli uomini? Lo chiediamo al procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri. L’occasione per l’intervista è la presentazione, nei giorni scorsi, a Cosenza, del volume “Le ‘ndranghetiste dell’Est”, del giornalista Arcangelo Badolati, caposervizio della “Gazzetta del Sud”.
Procuratore, chi sono le donne ‘ndranghestiste?
Per parlarne bisogna partire dalle faide, che sono importanti perché lì vediamo le donne protagoniste. Esse sono il termoregolatore, le molle che caricano gli uomini. C’è un lavorio psicologico sull’uomo, la donna è quella che tiene acceso il fuoco della vendetta e che carica gli uomini per andare ad uccidere.
La loro è un’azione propulsiva.
Questo è un libro importante perché evidenzia un’angolazione della ‘ndrangheta che ancora non avevamo sviscerato. Infatti viene intercettata questa nicchia che mancava nella bibliografia della ‘ndrangheta.
Quale rapporto tra associazionismo e ‘ndranghetiste?
Per quanto riguarda l’aspetto associativo vediamo sempre più, soprattutto nel traffico di droga, una partecipazione attiva. Non siamo a livello delle donne sudamericane dove nei cartelli, quando viene ucciso il capo del cartello, la moglie o la compagna o la convivente prende il posto e diventa leader, però abbiamo visto dei casi di donne che hanno un controllo e una gestione, ad esempio, nelle estorsioni, magari in quei casi in cui il marito è detenuto.
Un lavoro non troppo oscuro…
Non troppo oscuro: un lavoro evidente e, comunque sia, una maggiore presenza nel panorama criminale.
Nei giorni scorsi l’ultima grande operazione contro la ‘ndrangheta. A che punto siamo?
Sono a Catanzaro dal 16 maggio 2016 e ho visto un’impennata degli arresti.
Siamo riusciti a motivare meglio i colleghi della procura, che sono laboriosi e hanno acquisito sempre più coraggio e sicurezza.
Questo li ha portati a essere più determinati e reattivi e pronti a osare.
Al di là del lavoro delle Procure, quale l’impegno di associazioni, movimenti, Chiesa?
Ho visto una Chiesa migliorata. Lo spartiacque lo vedrei con l’arrivo di papa Francesco nella Piana di Sibari. Ho visto una maggiore presa di coscienza da parte dei vescovi e dei preti. Seppur a macchia di leopardo, c’è una positività da parte della Chiesa. Però c’è ancora tanto da fare.
Si dice, ad esempio, che una città come questa, Cosenza, sia in Calabria un’isola felice. Ma esistono realmente isole felici?
Non penso alle isole felici, penso a un potere criminale diverso, che si estrinseca con meno violenza esterna ma con una maggiore determinazione e soprattutto un migliore inserimento nel tessuto sociale.
Come si sta evolvendo la criminalità nelle altre zone del Mezzogiorno?
Come mafia classica Cosa Nostra la vediamo meno potente e arrogante, però si è trasformata ed è sempre più nei gangli della pubblica amministrazione e del potere. Invece, la camorra è sempre più estrinsecata in criminalità organizzata, criminalità comune e gangsterismo e sempre meno mafia.