Politica
Il nuovo sistema si applicherà a tutti i parlamentari, a quelli in carica, a quelli che verranno eletti in futuro e, soprattutto, a quelli che hanno concluso il mandato in precedenza, che quindi vedranno ricalcolati i rispettivi trattamenti economici, con decurtazioni che potrebbero essere anche molto rilevanti
Con la riforma della previdenza dei parlamentari dovrebbe essere scritta la parola fine sulla vicenda dei “vitalizi”, uno dei motivi di maggiore impatto simbolico nel difficile rapporto tra cittadini e classe politica.
Il condizionale è dovuto non solo al fatto che il provvedimento, dopo il sì della Camera, per diventare legge deve ancora essere approvato dal Senato, ma anche alla prospettiva annunciata di una raffica di ricorsi alla magistratura contro la retroattività delle nuove norme. Ricorsi che finiranno sicuramente sul tavolo della Corte costituzionale.
La sostanza della riforma è questa: i parlamentari (e i consiglieri regionali) avranno la pensione calcolata in relazione ai contributi effettivamente versati, con meccanismi e coefficienti analoghi a quelli dei dipendenti pubblici; a partire dalla prossima legislatura anche l’età pensionabile sarà parificata a quella prevista per tutti dalla legge Fornero; per beneficiare del trattamento sarà necessario aver esercitato il mandato parlamentare per almeno 5 anni, che è la durata di una legislatura (tecnicamente il diritto scatterà dopo 4 anni, 6 mesi e un giorno); il nuovo sistema si applicherà a tutti i parlamentari, a quelli in carica, a quelli che verranno eletti in futuro e, soprattutto, a quelli che hanno concluso il mandato in precedenza, che quindi vedranno ricalcolati i rispettivi trattamenti economici, con decurtazioni che potrebbero essere anche molto rilevanti.
La novità più incisiva della riforma è proprio quest’ultima, in quanto il sistema dei vitalizi (che un tempo consentivano di avere una rendita anche a 50 anni e con un solo giorno di mandato) era stato già eliminato dalla riforma entrata in vigore nel 2012, ma senza effetti retroattivi.
Si tratta di una questione delicata perché, se risponde a ragioni di equità che i trattamenti siano riequilibrati rispetto a eventuali eccessi anche del passato, taluni hanno paventato che la retroattività introdotta per i parlamentari potesse aprire un varco nella tutela dei diritti acquisiti per tutti i lavoratori. Al punto che nel testo approvato dalla Camera è stato introdotto un articolo specifico per esplicitare che
“in nessun caso” la retroattività potrà essere applicata “alle pensioni in essere e future dei lavoratori dipendenti ed autonomi”.
Il presupposto di questo impedimento è nella tesi secondo cui vitalizi e pensioni avrebbero una differente natura. Tesi autorevole e prevalente, anche se non condivisa da tutti i giuristi.
Altra novità significativa riguarda l’età pensionabile. Attualmente il trattamento previdenziale dei parlamentari viene erogato a 65 anni, che vengono ridotti fino a un minimo di 60 in proporzione al numero delle legislature effettuate. A partire dalla prossima legislatura – quindi la norma interesserà soltanto i nuovi eletti e non gli attuali – saranno applicati i criteri della legge Fornero e quindi anche i parlamentari riceveranno la pensione, maturata con i contributi versati durante il loro mandato, a 66 anni e 7 mesi.