Via Crucis

Giulio Regeni: vittima della violenza e dell’ipocrisia

Il giovane ricercatore friulano è rimasto vittima, una prima volta, della violenza di un sistema autoritario. E continua a essere vittima dell’ipocrisia di chi non ha il coraggio (o il potere) di ammettere pubblicamente che l’Italia non ha alcun interesse a congelare o anche solo ridurre i propri rapporti con l’Egitto

(Foto: AFP/SIR)

Sull’assassinio di Giulio Regeni non sapremo mai la Verità.
Non conosceremo il nome di chi ha usato materialmente il suo corpo “come se fosse una lavagna” ma nemmeno comparirà dinanzi ai nostri occhi il volto di chi tutto questo ha autorizzato e coperto.
Mi piacerebbe essere smentito, da subito, dai fatti. Ma ci rendiamo tutti conto che non sarà così.
Possiamo avvicinarci ad immaginare quanto accaduto grazie (soprattutto) alle ricostruzioni e indagini giornalistiche e al lavoro che la Magistratura italiana sta portando avanti, nonostante i depistaggi egiziani.

Il giovane ricercatore friulano è rimasto vittima, una prima volta, della violenza di un sistema autoritario che, ritenendolo coinvolto in improbabili missioni di spionaggio per conto di Paesi esteri e di sostegno all’opposizione interna al premier Al-Sisi, non ha esitato a rapirlo, torturarlo e ucciderlo. Sapendo di poter contare su una completa impunità.

La sua Via Crucis, però, era iniziata ben prima: quando qualcuno aveva deciso che Giulio avrebbe dovuto trovarsi proprio nel posto (per lui) sbagliato, al momento (per lui) sbagliato. Senza dargli le chiavi per muoversi in una realtà così complessa e approfittando in quella passione per la Verità che in lui si traduceva nella voglia di comprendere quanto studiato sui libri, uscendo dalle aule, verificando sul posto, incontrando le persone.

Da quei tragici giorni dell’inverno 2016, però, Giulio continua ad essere vittima dell’ipocrisia di chi non ha il coraggio (o il potere) di ammettere pubblicamente che l’Italia non ha alcun interesse a congelare o anche solo ridurre i propri rapporti con l’Egitto.

Paese a cui continuiamo a vendere armi e con cui le nostre aziende intrattengono ottimi rapporti nel campo energetico. Paese di cui abbiamo assolutamente bisogno nell’intricato e frammentato quadro nordafricano in chiave di controllo dell’immigrazione e di opposizione al terrorismo internazionale. Ora, dopo 16 mesi, un ambasciatore italiano ritornerà al Cairo: decisione alla fine politicamente inevitabile e che speriamo (senza troppe illusioni) possa, almeno, effettivamente favorire le indagini e la collaborazione fra gli inquirenti dei due Paesi. Non abbiamo bisogno di verità preconfezionate “ad usum Delphini.
Giulio non merita questo ennesimo spregio.

(*) direttore “Voce Isontina” (Gorizia)