Politica
Si vota il 22 ottobre per una maggiore autonomia delle rispettive Regioni. Si tratta di due consultazioni sostanzialmente analoghe e convergenti, ma indipendenti l’una dall’altra e con caratteristiche specifiche
Il 22 ottobre si svolgeranno in Lombardia e in Veneto i referendum consultivi che hanno per oggetto la richiesta di una maggiore autonomia delle rispettive Regioni. Si tratta di due consultazioni sostanzialmente analoghe e convergenti, ma indipendenti l’una dall’altra e con caratteristiche specifiche.
Il fatto che si svolgano lo stesso giorno è frutto di una scelta dei presidenti delle due Regioni per amplificare la portata simbolica e il peso politico di questo voto che, di per sé, non può produrre effetti giuridici, quale che sia il risultato.
Per capire l’ambito entro cui si muovono questi referendum, bisogna partire dall’articolo 116 della Costituzione che prevede anche per le Regioni a statuto ordinario la possibilità di vedersi attribuite “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”. Questo può avvenire “su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119” della Costituzione, quello in cui si parla dell’autonomia finanziaria di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. Queste “ulteriori forme e condizioni particolari” vengono attribuite con una legge “approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”. Un percorso complesso, quindi, che richiede la consultazione di Comuni e Province, l’intesa tra Stato e Regione e soprattutto una legge approvata dal Parlamento a maggioranza qualificata. Ma è un percorso già previsto e che non prevede né richiede un referendum (come testimonia, per esempio, il caso dell’Emilia Romagna la cui assemblea regionale, nei giorni scorsi, ha dato mandato al presidente di avviare la trattativa con il governo sulla base dell’articolo 116).
Allora perché Lombardia e Veneto hanno deciso di effettuare una consultazione, con tutti i relativi costi, come sottolineano i più critici?
La scelta, come si diceva, ha un significato squisitamente politico. È un modo – ovviamente discutibile, ma legittimo – con cui i vertici regionali pensano di coagulare un consenso ampio e di acquisire così maggiore forza contrattuale nella futura trattativa con lo Stato. Anche in questa chiave, tenendo conto che quasi tutte le forze politiche si sono più o meno convintamente dichiarate per il Sì, sarà l’affluenza alle urne l’elemento più rilevante in sede di valutazione del voto. Con una differenza importante tra le due Regioni: in Lombardia, infatti, non è previsto alcun quorum, mentre in Veneto il referendum sarà valido solo se avrà votato la maggioranza degli aventi diritto.
Molto diversi i due quesiti, ma soltanto nella formulazione, in quanto alla fine il contenuto è il medesimo.
Come si vede si tratta di una citazione testuale dell’art. 116 della Costituzione e, come ha sottolineato la Corte costituzionale, l’autonomia non può che essere intesa nel senso e nei limiti di quell’articolo, che il quesito della Lombardia cita esplicitamente. La Consulta, peraltro, era intervenuta dichiarando incostituzionali gli altri punti inizialmente previsti dalla Regione Veneto e ammettendo soltanto quello che poi effettivamente compare sulla scheda.
Le materie in cui è possibile che le Regioni chiedano maggiore autonomia – al termine del procedimento stabilito dall’articolo 116 e non in virtù del referendum che “si colloca in una fase anteriore ed esterna” rispetto ad esso, come ha spiegato la Corte costituzionale – sono molto ampie. Tutte quelle su cui è prevista la “legislazione concorrente” di Stato e Regioni e alcune fra quelle di esclusiva competenza dello Stato (l’elenco si trova nell’art. 117 della Costituzione).
Un’ulteriore differenza tra Veneto e Lombardia è che in quest’ultima si sperimenterà per la prima volta in Italia il voto elettronico. Invece delle schede cartacee, nei seggi gli elettori troveranno dei tablet. La Regione ne ha comprati 24 mila spendendo circa 23 milioni di euro, ma gli apparecchi resteranno in dotazione alle scuole.