Sinodo giovani
Come raggiungere chi ha perso l’autostrada della fede su cui si è corso per generazioni? Chi naviga per le vie del mondo senza un indirizzo preciso, sia pure spinto da una sete che non è venuta meno?
Manca un anno ma la gestazione è in corso. Un lavorio invisibile ai più, che va costruendo il futuro. Il sinodo dei giovani si svolgerà nell’ottobre 2018, primo atto della Gmg di Panama del gennaio 2019. La Chiesa, le diocesi, le pastorali giovanili sono in fermento.
Come il navigatore dell’auto per individuare il percorso chiede di fornire la posizione di partenza, così prima delle ipotesi del cammino, si è reso necessario capire chi sono questi giovani ai quali i vescovi dedicano un biennio. Tante le indagini. I risultati confermano quello che gli occhi vedono: molti ragazzi ad un certo punto spariscono dalle chiese. Ma qualche buona sorpresa c’è.
I giovani non credenti sono saliti dal 23 al 28 per cento tra 2007 e 2015. Seguiti da coloro, 22 per cento, che si definiscono appartenenti per tradizione ma non credenti. La fede è una cultura che si trasmette a stento, non una scelta spirituale. E detta così, la situazione spaura. Per questo i vescovi hanno messo da parte altri temi proposti per il sinodo – la pace e il dialogo interreligioso – per dedicarsi ai giovani, la fede e il discernimento.
Il primo passo è l’ascolto: attraverso un questionario a cui le singole diocesi stanno rispondendo, ma anche attraverso un altro questionario, anonimo e online, che tutti i giovani tra i 16 e 29 anni sono invitati a compilare entro il 30 novembre (youth.synod2018.va).
Il dialogo è cominciato. Sono giovani liberi nelle risposte: si dicono lontani dalle pratiche e dai sacerdoti, eppure è attraverso un questionario dei vescovi che chiedono aiuto contro la solitudine in cui si sentono immersi.
Appelli che non lasciano indifferenti. La Chiesa cerca la risposta. Come riprendere per mano, la giovane mano che si allontana: per scelta, per non adeguata conoscenza, per svogliatezza, per una sempre minor frequentazione dovuta a disparate ragioni (culture diverse, ambiente familiare scostante, priorità altre, somme di proposte alternative).
La trasmissione della fede si fa punto cruciale e cruccio primo. Come raggiungerli?
Le indagini mostrano quanto si sia indebolito il passaggio della fede tra genitori e figli. Ma si trasmettono invece benissimo l’ateismo, la tiepidezza, la fede soft, quella del sentimentalismo e delle grandi occasioni.
Un’altra ricerca – non basata su migliaia di risposte secche come la prima, ma su 150 colloqui personali – ha portato in superficie il lato più intimo: i giovani dicono di credere, ma in un dio che non ha necessariamente il volto di Gesù. Credono ad un dio anonimo, un’entità astratta. Per questo non sentono il bisogno di una parrocchia, di un religioso. Quando vogliono un contatto con questo loro dio, lo trovano nel silenzio della loro camera: in un minuto lo penso e lo sento vicino, ha risposto qualcuno.
Come raggiungere chi ha perso l’autostrada della fede su cui si è corso per generazioni? Chi naviga per le vie del mondo senza un indirizzo preciso, sia pure spinto da una sete che non è venuta meno?
La sfida toglie il fiato. Ma c’è chi, da un anno, cerca la risposta. Un cartello capace di indicare la via. Un cartello al quale i giovani stanno collaborando.
C’è chi ha detto: vediamo la cenere di un sistema che ha funzionato per secoli, ma non fermiamoci alla superficie. Sotto la cenere la brace è viva.
Alla domanda, cosa c’è di bello nel credere, solo 8 intervistati su 150 hanno risposto: niente. Per gli altri c’è la speranza, il non sentirsi soli, il senso della vita.
La brace c’è. E dove c’è la brace si può riaccendere il fuoco. Basta una scintilla.
(*) direttore “Il Popolo” (Concordia-Pordenone)