Viaggio apostolico

Papa in Myanmar. Gli aiuti delle organizzazioni cattoliche alle minoranze e agli sfollati

È iniziato il conto alla rovescia per la visita di Papa Francesco in Myanmar dal 27 al 30 novembre e poi in Bangladesh fino al 2 dicembre. Ecco una panoramica del lavoro delle organizzazioni cattoliche a sostegno delle minoranze etniche e religiose. Molte sono finanziate dalle congregazioni missionarie e dall’8xmille della Cei

(da Yangon) – Anche in Myanmar la solidarietà e gli aiuti umanitari possono combattere la povertà, le discriminazioni e l’esclusione sociale di alcune minoranze etniche e religiose. Negli Stati del nord o di confine dove vivono i Kachin, gli Akkha, gli Shan, i Chin o nelle zone del Kayak (dove il 20-25% sono cattolici) e di Pathein,  poche organizzazioni cattoliche, spesso con il sostegno di donatori occidentali tra cui istituti missionari e 8xmille della Chiesa cattolica italiana, cercano di intervenire per migliorare la vita nelle comunità. Nello Stato del Rakhine, dove è in atto la crisi umanitaria dei musulmani Rohingya, è impossibile lavorare perché vi sono delle restrizioni agli ingressi. Ma negli altri Stati, superando numerosi ostacoli burocratici e lentezze, si riesce faticosamente ad avere accesso. Sono tutte zone dove sono in corso da anni conflitti a bassa intensità tra piccole guerriglie (che cercano in questo modo di rivendicare diritti) ed esercito, che hanno prodotto almeno 400.000 sfollati interni sistemati da tempo in campi profughi senza la possibilità di intravedere, per ora, una possibilità di ritorno nelle proprie case e terre. Spesso queste tensioni – presentate come etniche e religiose – nascondono in realtà interessi ben più pressanti, di potentati economici che vogliono sfruttare le ricchissime risorse naturali del Myanmar: il gasdotto che passa nel Rakhine, le terre dei Kachin, e poi il petrolio, la giada e le altre pietre preziose, le riserve di acqua e legname (dopo il Brasile e l’Indonesia il Myanmar il terzo Paese al mondo con la più vasta deforestazione selvaggia),  le coltivazioni di oppio al confine con la Thailandia.

Tra la minoranza Shan progetti per combattere la deforestazione. Nella zona di Keng Tung nello Shan State, ad esempio, l’Organizzazione non governativa “New Humanity”, promossa dai missionari del Pime – che celebrano quest’anno i 150 anni dall’evangelizzazione dell’allora Birmania – sta portando avanti un bel progetto per promuovere un modello di sviluppo sostenibile nell’area di Kyaing Tong: tramite l’agricoltura, la riforestazione e l’educazione dei giovani.

I primi tre anni sono stati finanziati grazie ad un contributo dell’8×1000 del Comitato per gli interventi caritativi a favore del terzo mondo della Cei di circa 150.000 euro.

Qui vive una piccola minoranza di circa 500.000 persone, gli Akkha. Sono stati i primi ad essere evangelizzati dal Pime e come cultura sono assimilabili per certi versi ai cinesi. “Abbiamo portato l’acqua a migliaia di famiglie che vivono nel villaggio di Loimué, difficilmente accessibile perché isolato sulle montagne – spiega U Naing Htun, amministratore locale di New Humanity -. Nella stagione delle piogge si arriva solo con fuoristrada e quattro ruote motrici”. Così è stato realizzato un impianto ad energia solare per l’acquedotto e la raccolta dell’acqua piovana. Vi sono coltivazioni di thé e caffè, corsi per educare i giovani a prevenire la deforestazione selvaggia e piantumazione di alberi, con la presenza di un agronomo in pianta stabile. “Abbiamo anche due asili – precisa -. Il nostro scopo è anche garantire la stabilità e aiutare l’integrazione dei bambini nelle scuole”.

A Yangon nel carcere minorile. L’accesso all’acqua, la preservazione delle foreste, le scuole agricole,  le attività di sostegno alle famiglie con persone disabili e di supporto al reddito per i giovani, le “Credit Unions”, ossia piccole banche di credito cooperativo perché le persone si aiutino tra di loro, la sanità sono altre iniziative di New Humanity negli Stati dove vivono le minoranze, in particolari i cristiani.

A Yangon, invece, il governo ha dato il permesso per entrare nel carcere minorile, dove sono reclusi 500 ragazzi dai 9 ai 17 anni.

Sono dentro per reati di droga, piccoli furti, violenze, qualche omicidio. L’Ong ha messo a disposizione quattro insegnanti che vivono all’interno del carcere tranne i weekend e si avvale di volontari, tra cui psicologi e medici.  “Tempo fa tre psicologhe italiane hanno fatto un bellissimo lavoro con i ragazzi, che faticano ad esprimere le loro emozioni – racconta U Naing Htun -. È stato commovente vedere come sono riusciti a sciogliere i loro nodi”. Gli insegnanti, che li seguono attraverso lezioni non formali, diventano anche i confidenti dei ragazzi. Li indirizzano verso alcuni mestieri possibili una volta usciti dal carcere, con corsi per elettricisti, falegnameria, tornio.

Tra gli sfollati cristiani Kachin. Nel Kachin State, invece, dove vivono da sei anni almeno 120.000 sfollati interni, l’arcidiocesi di Yangon e la Caritas hanno intenzione di intervenire per portare aiuti e sostegno. Per ora hanno visitato a Myitkyina il “Paul Jan Mai Kawng Camp”, dove abitano circa 560 persone, la maggioranza delle famiglie sono cattoliche, alcune battiste. E il “St. Joseph Palana Camp”, con 285 persone, tutti cattolici. Altri campi profughi sono inaccessibili perché servono permessi speciali. La Caritas ha ascoltato i bisogni e le richieste degli sfollati.

Molti sono lì perché hanno preferito fuggire pur di non essere arruolati tra le fila della guerriglia locale.

Tutti desiderano tornare, prima o poi, alla propria terra, visto che vivono di piccola agricoltura, ma le tensioni sociali non si sono ancora spente. Con l’apertura del Paese alla democrazia è stato fatto un accordo con imprenditori cinesi per l’estrazione della giada, di cui quelle zone sono ricche, ma la popolazione locale non concorda sullo sfruttamento indiscriminato delle loro terre e ha cominciato di nuovo a lottare per impedirne l’attuazione. Così passano i giorni, i mesi, gli anni nei campi, senza un progetto di vita per il futuro. Qualche donna riesce a fare lavori artigianali realizzando al telaio tessuti per i longyi (le gonne tipiche che indossano gli uomini). Gli uomini ogni tanto vengono coinvolti in piccoli lavori di edilizia e muratura, ma gran parte del tempo sono disoccupati. I bambini non vanno a scuola o ricevono istruzione di scarsa qualità. In questi campi la Caritas del Myanmar (Karuna, che in sanscrito significa “carità”) sostiene circa 40.000 famiglie, con piccole somme per pagare l’energia elettrica, il cibo e coprire i bisogni di base. Ma la strada del ritorno da queste parti è ancora lontana.