Società
Mentre, qua ed oggi, le donne ripongono sciarpe e scarpe rosse nell’armadio per la Giornata contro la violenza dell’anno che verrà, cominciamo il cammino dell’Avvento, consapevoli di entrare in un progetto divino. Ci è chiesto di accoglierlo: nel Bambino come in chi bussa alla nostra porta, in chi incontriamo per strada, in chi ci apre quando rincasiamo, magari con la tavola già apparecchiata per noi
Qualcosa di rosso – come una rosa, come il sangue – da indossare nella Giornata contro la violenza sulle donne, che si è celebrata sabato 25 novembre ma che, da più parti, si è protratta quest’anno più a lungo con iniziative alquanto varie: camminate, convegni, letture, rappresentazioni. Qualcosa di rosso: il rischio era il teatro dell’ovvio, parole di circostanza che feriscono chi le violenza l’ha subita davvero.
Così non è stato. A dare senso sono state le vere protagoniste: le vittime sopravvissute. Hanno preso la parola in un parlamento surreale, riempito da mille e trecento donne. Hanno raccontato storie di crudeltà e anche brutalità subite, con grazia e con dolore. Non hanno raccolto una grande eco.
Eppure, ascoltarle è valso ricredersi sul valore di una giornata così, almeno finché oltre cento donne l’anno in Italia verranno uccise da mariti, compagni e spasimanti. Finché il figlicidio sarà considerato da qualche uomo una punizione per la donna che gli sfugge. Finché giovani ragazze, in special modo africane e nigeriane, saranno sottratte al loro mondo con la lusinga di uno stipendio e si troveranno, invece, a dover pagare per riavere la libertà rubata con ingannevoli parole. Ancora, incredibilmente, donne come cose, donne merce per le mani di uomini.
Sì, era una settimana fa. Ma sarà, purtroppo, anche domani se non oggi stesso. Un’altra violenza su una donna diventerà una notizia in mezzo alle altre, come una tassa da pagare ogni tre giorni. Anche adesso che il Natale si annuncia con la prima domenica di Avvento. Più ancora adesso, suggeriscono gli esperti, perché le feste, quando mettono in luce la felicità di taluni e le solitudini degli altri, diventano micce di gesti scellerati.
Come siamo lontani dai giorni che stiamo per celebrare. Quel Natale di nascita e d’amore, non di carrelli colmi, menù sofisticati e un regalo da trovare a tutti i costi per non fare brutta figura. Lontani da quel Natale di gioia per una persona da accogliere e amare, non per una scatola in più sotto l’albero. Lontani dal senso di quella stalla che è culla, luogo di nascita dell’Atteso. Lontani dall’idea, dal ricordo, che è lui che viene. L’Avvento che si comincia è il Suo.
Distratti, se non dimentichi, che tutto cominciò dal sì di una donna. La donna più umile, la sola che abiti già il cielo con tutta se stessa.
Un sì vero, ignaro, coraggioso. Un sì fiducioso e spensierato come solo le ragazze possono. Un sì totale come le sante sanno pronunciare e mantenere per sempre. Un sì spontaneo e non strappato a forza. Un sì a un Dio che si si è fatto, per lei, piuma d’angelo lieve.
Un Dio così incredibile, così lontano da ogni meccanismo che mente umana possa ideare, sognare, sperare. Un Dio che poteva salvare il mondo alzando un dito – che potesse farlo siamo certi – e invece sceglie di coinvolgere, in questa che resta la storia più bella di tutte, una donna. Una donna là e allora.
E mentre, qua ed oggi, le donne ripongono sciarpe e scarpe rosse nell’armadio per la Giornata contro la violenza dell’anno che verrà, cominciamo il cammino dell’Avvento, consapevoli di entrare in un progetto divino. Ci è chiesto di accoglierlo: nel Bambino come in chi bussa alla nostra porta, in chi incontriamo per strada, in chi ci apre quando rincasiamo, magari con la tavola già apparecchiata per noi.
(*) direttrice “Il Popolo” (Concordia-Pordenone)