Politica
Quanti si impegnano a guidare il Paese hanno un compito davvero gravoso: non si tratta di conquistare il potere per chissà quali vantaggi propri o della propria parte, ma di assumersi una grande responsabilità per porre rimedio in modo ragionevole e calcolato ai mali che continuano ad affliggere vasti strati di popolazione
Fioccano le promesse pre-elettorali: dalle “cronache” veniamo a sapere che con il nuovo governo sarà finalmente varato il “reddito di cittadinanza”, oppure la pensione minima sarà elevata a 1.000 €, oppure sarà esteso il bonus di 80 € anche alle famiglie con figli… La prima proposta, come si sa, è da anni il cavallo di battaglia del M5S che l’ha ormai anche ben definita: se una persona, residente in Italia (cittadino italiano o europeo o anche extracomunitario) è sola, disoccupata o sotto la soglia di povertà, le spettano 780 € (aumentabili in base al nucleo familiare); il costo per lo Stato sarebbe di circa 15 miliardi (più o meno come una “manovra”!): ma dove si riuscirà davvero a prendere i soldi? La seconda è stata lanciata di recente dal leader di Forza Italia, Berlusconi che sembra avere sempre l’asso nella manica: in realtà il provvedimento come sarebbe delineato – che costerebbe allo Stato circa 4 miliardi – riguarderebbe solo una parte (circa un milione su 6) dei pensionati che percepiscono meno di mille euro: e non si capisce bene in base a quale criterio! La terza proposta, com’è noto, è stata lanciata qualche giorno fa dal segretario del Pd Renzi alla Leopolda: questa è ancora meno definita perché il costo per lo Stato potrebbe variare tra i 5 e i 10 miliardi. Ma la fiera delle promesse, per quanto accattivanti, non può durare più di tanto.
Si tratta certamente di idee che intenderebbero ridurre il gap dei più poveri (giovani, anziani, famiglie…) e di fatto incrociano, per quanto in modo circoscritto e piuttosto velleitario, esigenze evidenti ed emergenti. Ma la strada per un buon governo non può certo essere quella delle promesse pre-elettorali. Del resto, è tutto un clima che va ri-ossigenato per dare prospettive e speranze a chi sembra averle ormai smarrite. Due fenomeni drammatici – persistenti o anche via via accentuati, secondo gli ultimi dati – ci mettono in allarme: la “carestia” di culle (con 100.000 nascite in meno negli ultimi 8 anni) e l’esodo di giovani italiani all’estero in cerca di lavoro o di una più accettabile sistemazione. Il primo riguarda non solo le donne cittadine italiane (scese a 1,26 figli ciascuna), ma anche quelle straniere (pur attestandosi ancora all’1,97) e rivela una sorta di sfiducia generalizzata, insinuatasi nelle possibili madri (come nei padri) – giovani spesso segnati dalla precarietà della propria condizione -, sul futuro degli eventuali figli che non troverebbero lavoro o sufficiente benessere in questo Paese. La qual cosa è parimenti testimoniata dalla “fuga” dei giovani che continua, nonostante la lenta ripresa e l’aumento di posti di lavoro in Italia, sia verso l’Inghilterra (addirittura in aumento, nonostante la Brexit) sia verso la Germania (ma qui più rallentata). Gli italiani all’estero sono ormai ben 5 milioni (2 milioni in più rispetto al 2006!).
La sensazione diffusa – che si fatica a correggere – è che il nostro non sia “un paese per giovani”. La questione è dunque molto complessa e quanti si propongono o si impegnano a guidare il Paese hanno un compito davvero gravoso: non si tratta di conquistare il potere per chissà quali vantaggi propri o della propria parte, ma di assumersi una grande responsabilità per porre rimedio in modo ragionevole e calcolato ai mali che continuano ad affliggere vasti strati di popolazione.
(*) direttore “Nuova Scintilla” (Chioggia)