Rapporto Censis
Sfiducia, rancore, fiato corto, mal di futuro: c’è davvero di che meditare. Ma c’è anche da credere che un futuro – e un futuro positivo che sa superare il presente con sguardo maturo e prospettico – c’è: dipende da quanti intendono impegnarsi per costruirlo. Anche perché, al di là della statistica, il Paese dà segnali di non volersi fermare e, al di là della mera economia, c’è una rete di rapporti che salva
Il 51° Rapporto Censis reso noto a inizio dicembre, con i suoi dati e relative interpretazioni, costituisce – come sempre – motivo di riflessione per l’intera nazione. La dura “sentenza” è che soffriamo di “mal di futuro”, anzi, per usare l’immagine adottata dal Rapporto, “il futuro è incollato al presente”. Anche se condito da qualche elemento positivo – notevoli segnali di ripresa nell’economia (persino con alcuni record rispetto agli anni precedenti) e il recupero nella ricerca del benessere soggettivo (dopo la stretta sui consumi) – il panorama generale resta preoccupante e chiama in causa soprattutto le responsabilità dei politici e della classe dirigente che sembrano accontentarsi di un consenso inseguito ad ogni costo ma senza alcuna progettualità, continuando alla fine a deludere cittadini e associazioni che non vedono prospettive.
Tra i segnali che potrebbero essere “positivi”, a dire il vero, c’è anche il forte incremento nell’uso degli smartphone (lo posseggono ormai il 70% degli italiani) e, in generale, di Internet (ne fruiscono oltre il 75%) e dei social network (circa il 33%). In realtà, questi – come il ricorso ai tatuaggi (che supererebbe in percentuale il desiderio di una casa di proprietà!) – vengono derubricati dal Rapporto ad una “soddisfazione di piccolissimo cabotaggio”. Ed è da comprendere e condividere questo severo giudizio, poiché si tratta per molti versi di un mondo illusorio, che, pur nella sua utilità, rischia di “alienare” piuttosto che di promuovere: farebbe parte di quelle che il Rapporto definisce “coccole di massa” che, paradossalmente, portano a far registrare un’alta percentuale di persone tutto sommato “soddisfatte” della propria vita (quasi l’80%), anche se con scarsa o nulla “spinta propulsiva”.
Per restare nel mondo della comunicazione, va registrato il calo verticale nell’acquisto dei quotidiani (le persone che li comprano sono praticamente dimezzate nel giro di quindici anni), mentre i lettori di libri sono diminuiti in quattro anni dal 52 al 43%. Ma quel che colpisce è l’accento posto sull’“onda di sfiducia” nelle istituzioni, che si traduce in un “rancore diffuso”, specie per il blocco della mobilità sociale e per la grave piaga della disoccupazione, la quale – per quanto lievemente attenuata – continua ad allarmare molti, anzi troppi, generando l’altra piaga, purtroppo in aggravamento, della “povertà assoluta” (cresciuta del 165% rispetto al periodo pre-crisi: quasi 5 milioni di persone nel 2016) e quella non meno grave delle “diseguaglianze in crescita” (sarà per questo che il neonato movimento politico di sinistra ha voluto intitolarsi “Liberi e uguali”!…). Sfiducia, rancore, fiato corto, mal di futuro: c’è davvero di che meditare. Ma c’è anche da credere che un futuro – e un futuro positivo che sa superare il presente con sguardo maturo e prospettico – c’è: dipende da quanti intendono impegnarsi per costruirlo. Anche perché, al di là della statistica, il Paese dà segnali di non volersi fermare e, al di là della mera economia, c’è una rete di rapporti che salva.
(*) direttore “Nuova Scintilla” (Chioggia)