Dopo gli attentati

Egitto. Yolios (vescovo copto ortodosso): “Non abbiamo paura”. La speranza per un Natale di pace e amore

“In Egitto non abbiamo paura. Gli egiziani sono coraggiosi e il loro coraggio è proprio della nostra Chiesa”. Il vescovo copto ortodosso del Cairo vecchio parla della situazione attuale del Paese, dopo i recenti attacchi, e commenta anche la decisione di Trump su Gerusalemme. “Il governo – dice – sostiene che quella di Trump non sia una buona decisione e noi lo condividiamo”.

“Il governo sostiene che quella di Trump non sia una buona decisione e noi lo condividiamo”. Yolios, vescovo copto ortodosso del Cairo vecchio, commenta la decisione del presidente degli Stati Uniti di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele con poche parole. Sintesi di una linea condivisa con le posizioni del presidente egiziano al Sisi. Una sintonia che ritorna su vari temi, dopo le aperture dell’ex Capo di Stato Maggiore nei confronti della comunità cristiana ortodossa con cui ha avviato un dialogo. Presente alla Messa di Natale, lo scorso anno, ha riversato le sue attenzioni sui cristiani anche dal punto di vista normativo. Il vescovo Yolios elenca i provvedimenti uno per uno, passeggiando lungo i cortili del complesso monastico di san Giorgio, nel cuore della zona antica del Cairo, sede del Patriarcato greco di Alessandria. Lo fa in occasione di un incontro con alcuni giornalisti italiani, organizzato dall’Opera Romana Pellegrinaggi e dal ministero del Turismo egiziano. Le parole sono quelle di uno dei massimi rappresentanti di una Chiesa provata dalle recenti stragi, che hanno causato decine di vittime, la Domenica delle Palme, ad Alessandria e Tanta, e, un anno fa, proprio al Cairo, nella cattedrale di San Marco. “In Egitto non abbiamo paura – afferma, stringendo tra le mani la croce ortodossa -. Gli egiziani sono coraggiosi e il loro coraggio è proprio della nostra Chiesa”. Le misure di sicurezza, però, sono rigide. La roccaforte cristiana è presidiata dalla polizia. Barriere all’ingresso e uomini armati attorno. Davanti alle chiese di san Sergio e della Vergine Maria metal detector, dentro telecamere in più punti.

A Gerusalemme è di nuovo violenza, dopo la posizione assunta da Trump. Cosa pensa di questa crisi?
Le posizioni della Chiesa sono in accordo con quelle del capo del governo, che non condivide le scelte di Trump. Il parere del presidente è il nostro e lo seguiamo, perché siamo in Egitto. La Chiesa non è separata dal Paese.

Sembra che si vogliano limitare i pellegrinaggi dei fedeli copto ortodossi verso Gerusalemme. È una possibilità concreta?
Non è stata presa finora alcuna decisione sulla possibilità di non mandare pellegrini a Gerusalemme. È una decisione che spetta sia allo Stato che alla Chiesa. Ne riparleremo.

Che cosa è cambiato in Egitto dopo la visita del Papa?

La visita di Papa Francesco è arrivata al momento giusto. Nonostante il rischio terrorismo, è venuto a trovarci e ci ha fatto felici. Ci ha benedetto con la sua presenza.

Qual è stata la reazione dei musulmani agli attacchi che hanno causato la morte di decine di cristiani?
Tutti i musulmani moderati, non fanatici, non li approvano, guardano davvero con simpatia ai cristiani. Alcuni di loro hanno protetto le chiese. È successo qui all’epoca dell’ex presidente Morsi. Le persone hanno fatto scudo. In un altro caso, un venerdì, era stato pianificato un attacco alla nostra chiesa ma l’imam ha parlato durante la preghiera in favore dei cristiani copti ed è riuscito a dissuadere chi voleva compiere quell’attentato. Dopo le stragi, nel Paese la sicurezza è aumentata.

E voi come avete reagito?
Sono aumentati anche i controlli sulle persone. Oltre a quelli prima di entrare in chiesa, è stata decisa un’altra misura di sicurezza: sono state installate telecamere dappertutto.

Il dialogo con le altre Chiese, invece, come procede?

Sono stati fatti tentativi per riunire le Chiese nonostante le difficoltà evidenti. L’unione non è impossibile.

Per la prima volta lo scorso anno, a Natale, un presidente egiziano, al Sisi, ha partecipato a una celebrazione cristiana. Qual è stato il significato del suo gesto?
È stato un gesto lodevole nei confronti della Chiesa copta d’Egitto e che ha fatto piacere ai cristiani. Il presidente al Sisi ha fatto anche un altro grande regalo all’Egitto, quello di far costruire la cattedrale più grande del Paese, che speriamo di inaugurare presto, nella nuova capitale, che nascerà a est del Cairo. È uscita quest’anno una legge per realizzare nuove chiese con condizioni agevolate. In realtà, l’aspetto più importante è la possibilità che ci ha concesso di sanare le posizioni di edifici costruiti senza permessi.

Camminando per le vie del Cairo immagini di povertà e desolazione si alternano a sprazzi di ricchezza. Qual è l’impegno della Chiesa ortodossa per i più poveri?
Da Assuan ad Alessandria la Chiesa fornisce una serie di servizi per i più poveri e per chi non ha studiato. Si tratta di aiuti in seguito a una serie di progetti, sviluppati per seguire le condizioni di maggiore fragilità. Ci occupiamo con attenzione delle famiglie dei carcerati e di donne e bambini che hanno subito violenze. In linea generale, siamo molto attivi nell’istruzione e nell’assistenza sanitaria. La scuola copta per cristiani è aperta, ad esempio, anche ai musulmani.

Un anno fa in un attentato nella cattedrale di san Marco morirono 25 persone. Con quali sentimenti vi avvicinate al Natale?

I cristiani non hanno paura della morte. Anzi, dopo i recenti attentati il numero dei cristiani è aumentato. Speriamo che sia un Natale di pace e amore.

Qual è il suo augurio di Natale per tutti i cristiani in un Medioriente attraversato da grandi conflitti?
Invito i cristiani a essere pazienti e coraggiosi. Perché il Signore ci sorregge e ci aiuta a superare tutte le difficoltà.