Il ricordo

La carità integrale di don Antonio Riboldi

Nelle sue omelie e nei suoi interventi pubblici iniziava sempre dalle situazioni della vita degli ascoltatori, si metteva in sintonia con le persone che aveva davanti. Poi inseriva il nucleo del messaggio in modo graduale. Libertà e dignità, partecipazione e promozione, le virtù cristiane e il messaggio evangelico venivano di conseguenza. Un esempio furono le numerose e assemblee nelle baracche e nelle piazze. Si discuteva, si rifletteva, si programmava. Toni decisi, ma non violenti; si concludeva con il Padre nostro

Monsignor Antonio Riboldi, ritornato alla casa del Padre il 10 dicembre all’età di 94 anni, a Stresa, dove c’è la tomba del beato Antonio Rosmini e quella di padre Clemente Maria Rebora, lascia una vasta e profonda traccia di luce evangelica. Ha percorso l’Italia per incoraggiare l’impegno pastorale, civile, sociale. Ha tenuto una rubrica radiofonica efficace e gradita, ha inviato la sua omelia settimanale a migliaia di visualizzatori, ha scritto diciotto libri, su temi pastorali e sociali, centinaia di articoli su riviste e giornali. Ha guidato la diocesi di Acerra per più di vent’anni.

La comunicazione evangelica era il suo dono principale e la sua missione. Ha accettato anche alcune sfide che ne hanno mostrato il coraggio e la vicinanza a chi si trova in situazioni particolarmente problematiche.

Appena ordinato prete nel 1972 sono stato alla sua scuola per sei anni a Santa Ninfa in provincia di Trapani come viceparroco. Successivamente sono subentrato per undici anni alla guida di quella parrocchia. Il Belice è debitore in buona parte, a lui in particolare, e a noi rosminiani presenti a Santa Ninfa, per l’accelerazione della ricostruzione negli anni ’70. Il momento culminante fu nell’anno 1976. Tra le varie iniziative, le “Lettere” e il “Viaggio dei bambini del Belice”, che riuscirono a sensibilizzare l’opinione pubblica, la classe politica e la Chiesa italiana. Infatti don Riboldi fu scelto, tra tutti i parroci italiani, a dare la testimonianza dell’azione di “evangelizzazione e promozione umana” nel Primo Convegno Nazionale, che si tenne nel novembre di quell’anno a Roma. I Vescovi siciliani si complimentarono con lui ringraziandolo, e di lì a poco lo segnalarono per l’episcopato. Paolo VI gli affidò la Diocesi di Acerra, dove non si era provveduto ad un vescovo da dodici anni. Successivamente c’era chi lo chiedeva per una diocesi più grande, ma egli rispondeva: questa me l’ha affidata Paolo VI, non si cambia.

Ricostruire la casa, ma anche il lavoro, puntando sulla dignità dell’uomo in quanto creatura e del cristiano come figlio di Dio. La carità integrale nelle tre forme insegnate da Rosmini, spirituale, intellettuale, corporale, fu sempre uno dei temi principali.

Ha accompagnato la Causa di Beatificazione di Antonio Rosmini. Ha sostenuto le Missioni rosminiane in India e Africa. Nelle sue omelie e nei suoi interventi pubblici iniziava sempre dalle situazioni della vita degli ascoltatori, si metteva in sintonia con le persone che aveva davanti. Poi inseriva il nucleo del messaggio in modo graduale. Libertà e dignità, partecipazione e promozione, le virtù cristiane e il messaggio evangelico venivano di conseguenza. Un esempio furono le numerose e assemblee nelle baracche e nelle piazze. Si discuteva, si rifletteva, si programmava. Toni decisi, ma non violenti; si concludeva con il Padre nostro. Noi Padri rosminiani abbiamo dato uno dei confratelli più preparati alla Chiesa, e siamo felici che abbia potuto adempiere alla missione per la quale l’Istituto fu fondato dal Beato Antonio Rosmini: per la carità universale.

(*) preposito generale dell’Istituto della Carità – Rosminiani