Solidarietà
Oggi i preti diocesani in Italia rispondono alle sfide sociali più difficili. Nel mese di dicembre, in cui i fedeli sono invitati a donare un’Offerta che li accompagni nella missione, ecco come il loro annuncio in Parola e opere cambia il volto del Paese
Non c’è ancora un libro che li racconti tutti, ma il mese di dicembre, dedicato alle Offerte che li sostengono nella missione, è occasione per ricordarli. I preti diocesani italiani inviati nei Paesi più poveri hanno dato un contributo incalcolabile all’evangelizzazione dei 5 continenti. Una storia luminosa e un bilancio necessario quest’anno, 60° anniversario dell’enciclica Fidei donum con cui nel 1957 Papa Pio XII spronava le Chiese occidentali all’impegno missionario, dando il primo impulso ad una stagione non ancora conclusa. Da 28 anni le Offerte per il sostentamento, donate dai fedeli delle nostre diocesi con il gesto semplice di un conto corrente postale, di un bonifico bancario o di un obolo versato sul web con carta di credito, li sostengono nel cammino, raggiungendo allo stesso tempo i circa 35mila presbiteri delle nostre parrocchie. In poco più di mezzo secolo, i “doni della fede” hanno aperto seminari e formato generazioni di nuovi sacerdoti, rendendo via via autosufficienti le Chiese sorelle nel Terzo mondo. “Ma non è ancora ‘missione compiuta’ di fronte alle tante richieste che ancora riceviamo, oggi soprattutto dal Brasile o dall’Asia. Non riusciamo a rispondere a tutti – spiega don Michele Autuoro, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per la cooperazione missionaria tra le Chiese, snodo oggi per circa 400 fidei donum -. Vengono aperte continuamente nuove missioni, la più recente a Cuba con tre sacerdoti della Chiesa ambrosiana, e la Santa Sede erige sempre nuove diocesi”. Segni particolari del prete “dono della fede”: non arrendersi davanti agli ostacoli, mettersi in ascolto del territorio e, perfino, essere un ‘millemestieri’, sintetizzano i più anziani, che materialmente spesso hanno edificato le prime chiese o hanno semplificato la vita di un villaggio.
Come don Angelo Pansa, nativo della Bergamasca e rientrato in Italia solo a tarda età: ricordava come nella foresta amazzonica brasiliana, lungo il corso dello Xingù, avesse realizzato un rudimentale sistema idraulico in grado di pompare acqua direttamente al villaggio indios, grazie all’azione di un’altalena costruita per i bambini.
Tanti hanno condiviso i rischi con il popolo di Dio loro affidato, contribuendo a denunciare guerre per le risorse “tra le meglio nascoste del pianeta”, come spiegava don Giovanni Piumatti, della diocesi di Pinerolo. Da decenni annuncia il Vangelo nel conflitto ininterrotto per le materie prime del Kivu, in Repubblica Democratica del Congo, al centro di business sanguinosi e indisturbati, come quello di coltan (conduttore per telefonia mobile, computer, i-pod, gsm, videogiochi, radar per l’industria aerospaziale), cassiterite (usata per fabbricare lattine e articoli usa-e-getta) e wolfram (che dà il tungsteno per armi e munizioni, oltre che componenti per elettrodomestici e radiologia). Don Piumatti nel tempo è stato arrestato, ferito, ha mediato tra i combattenti, ha costruito case, scuole e strade, nonostante da decenni, in questa guerra di retrovia della società del benessere, nuove formazioni armate vengano annunciate ogni mese.
Altri fidei donum, invece, hanno preso il posto lasciato vuoto dai martiri: come don Giuliano Lonati, scomparso a febbraio scorso, che nel 2006 fu primo successore nella parrocchia di Santa Maria a Trabzon, in Turchia, di don Andrea Santoro, che era stato appena assassinato. Il primo fidei donum italiano è stato beatificato nel 2005: don Alessandro Dordi, ucciso in Perù nel 1991 dai guerriglieri di Sendero Luminoso, riposa nel cimitero della chiesa parrocchiale di Santa Maria Nascente nella nativa Gromo San Marino (Bergamo).
Scrivono invece il presente sacerdoti come padre Salvatore Pacifico, beneventano, che in questi 4 anni di guerra in Sud Sudan ha servito tra gli oltre 2 milioni di profughi: “Il Sud Sudan è ancora nelle mani di Dio, mani di Padre”, ha detto. Anche da lontano questi missionari sono testimonianza viva per le diocesi di provenienza, mentre fanno crescere scuole, ambulatori e adozioni a distanza. Chi rientra in Italia resta un prete “pronto a tutto” e “in cammino” – spiegano loro stessi – davanti alla sfida della scristianizzazione europea, dell’impoverimento delle famiglie, all’odissea delle migrazioni. Segni di un mondo cambiato in 60 anni, mentre il calo delle vocazioni rende difficile a tante diocesi italiane, diventate “terra di missione”, destinare presbiteri altrove. Sullo sfondo resta, fiduciosa e perseverante in questo Natale, la preghiera che il Vangelo si diffonda su tutta la Terra. Info: www.insiemaisacerdoti.it