In cammino
Il 2018 si presenta con una densa agenda di appuntamenti con i giovani protagonisti: il Sinodo sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, di ottobre, preceduto dall’incontro di Papa Francesco con i giovani italiani di agosto e prima ancora dal meeting pre-sinodale di marzo con 300 ragazzi, credenti e non, da tutto il mondo. Sarà un tempo di ascolto e di dialogo con i giovani ma che chiama in causa anche il mondo degli adulti. Intervista con don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile della Cei (Snpg)
Il 2018 sarà per la Chiesa un anno dedicato ai giovani: un tempo di ascolto e di dialogo scandito da un’agenda zeppa di appuntamenti, tra i quali spicca la XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, in programma dal 3 al 28 ottobre, sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Un “Sinodo per e di tutti i giovani” ha detto Papa Francesco e in questa prospettiva va collocato l’incontro pre-sinodale (19-24 marzo) con circa 300 giovani di tutte le fedi e confessioni cristiane, anche non credenti. Il 25 marzo, Domenica delle Palme, a San Pietro si celebrerà, a livello diocesano, la XXXIII Gmg. Altro evento da rimarcare sarà l’incontro dei giovani italiani con il Papa, l’11 e il 12 agosto a Roma, che chiuderà una settimana di pellegrinaggi in luoghi significativi della Penisola. Meno di tre mesi dopo il Sinodo, si svolgerà a Panama la XXXIV Gmg (22-27 gennaio 2019).
Ma il 2018 chiamerà in causa anche il mondo degli adulti, come don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile della Cei (Snpg), evidenzia con molta chiarezza e non senza qualche “mea culpa”: “Smettiamo di mettere i giovani al centro di una riflessione come se fossero qualcosa di esterno a noi. Essi sono come i reagenti in chimica: quando li guardiamo ci fanno vedere chi siamo noi”. Significative, a riguardo, sono le parole di Papa Francesco alla Curia per Natale, ‘portare una speciale attenzione ai giovani non vuol dire guardare soltanto a loro, ma anche mettere a fuoco un tema nodale per un complesso di relazioni e di urgenze: i rapporti intergenerazionali, la famiglia, gli ambiti della pastorale, la vita sociale…’. Insomma
non guardiamo ai giovani per studiarli ma ascoltiamoli
perché ci fanno capire che cosa è la Chiesa e chi sono gli adulti che li hanno generati. Il dialogo tra le generazioni aiuta noi adulti a capire che mondo vogliamo costruire insieme ai giovani”.
Il 2018 potrebbe essere un punto di ripartenza per comunicare con i giovani, magari con nuovi linguaggi?
Non è una questione di linguaggi. Inutile girarci attorno. Se oggi i giovani cercano senso e significato alla loro vita da un’altra parte è perché non siamo più credibili. Come adulti non possiamo più pensare di avere ragione, di essere depositari della verità e del Vangelo. I giovani ci stanno dicendo che abbiamo smarrito la strada, che diamo per scontato la nostra fede quando invece dovremmo avere il coraggio di rileggerla.
Per essere ancora più chiari, cosa chiedono i giovani agli adulti?
Di essere più radicali. Abbiamo bisogno di radicalità anche se questa ci provoca timore e paura perché ci chiede coerenza di vita che sappiamo di non avere e che dobbiamo ricercare. La radicalità ci chiede di convertirci in continuazione andando al cuore del Vangelo. Questa è la testimonianza. Diversamente è dare una mano di bianco alle nostre parole condite da qualche gesto di buona volontà.
Emerge un bisogno di coerenza.
Possiamo dire tutto dei giovani, anche accusarli, ma non possiamo dire che questo mondo l’hanno voluto loro. Lo hanno trovato così.
Tra le esigenze del Vangelo e la vita vissuta c’è una distanza che continuiamo ad aggirare pensando che si possa fare finta di niente. I giovani ci chiedono di dimostrare che vale la pena vivere il Vangelo. Se non vale la pena per noi perché dovrebbe valere per loro?
Un “Sinodo per e di tutti i giovani”, ripete Papa Francesco. Mai come ora la Chiesa vuole porsi in ascolto delle nuove generazioni…
Certamente. Significativo, a riguardo, sarà anche il meeting pre-sinodale del 19-24 marzo, un momento di ascolto dei giovani, così come il Sinodo, per farsi interpellare da loro. Direi di più: esso indica uno stile pastorale.
Non abbiamo bisogno di trovate pastorali ma di recuperare uno stile mettendoci in ascolto dei giovani di oggi.
Ad agosto è in programma l’incontro dei giovani italiani con Papa Bergoglio. Cosa si aspetta da questo evento?
Quello di agosto è il primo raduno dei giovani italiani con Papa Francesco che arriva dopo oltre quattro anni dalla sua elezione e si pone alla vigilia del Sinodo dei vescovi per il quale la Chiesa italiana ha sempre pregato. Sono curioso di vedere come sarà, cosa dirà il Papa davanti ai giovani italiani e come questi ultimi si porranno davanti al Pontefice. E soprattutto se avranno voglia di mantenere un legame con lui e con la Chiesa.
Con i giovani in pellegrinaggio ci saranno anche sacerdoti, educatori e formatori. Sarà un banco di prova anche per loro?
Il camminare mette alla prova non solo il fisico ma anche il nostro essere pastori ed educatori. Mentre si cammina non sempre si è davanti al gregge. A volte ci toccherà stare dietro e accettare la nostra fragilità fisica. Ma questo ci ricolloca da educatori e da pastori al nostro posto che a volte è davanti, a volte in mezzo e a volte dietro.
La maratona d’incontri 2018 porterà i giovani fino alla Gmg di Panama, a gennaio 2019. A quel punto tornare all’ordinario potrebbe rappresentare la prima grande difficoltà del post-Sinodo…
La Gmg di Panama, dove cresce l’attesa, dimostra la capacità della Chiesa di parlare e di raggiungere i Paesi più piccoli, periferici, ma capaci di raccontare qualcosa di bello.
Anche nei luoghi più lontani e piccoli l’uomo vive e continua a cercare senso e significato della vita. La stragrande maggioranza dei giovani italiani non andrà a Panama, ma seguirà la Gmg attraverso le immagini e i social. Anche questo è un modo per stare vicini, parlare e pregare.
Il ritorno all’ordinario è un compito che il Sinodo lascia. A noi renderlo concreto e vivo.
All’inizio di questo anno così importante qual è il suo auspicio per la pastorale giovanile italiana?
Che sia un vero cammino e che non si abbia la pretesa di scrivere tutto prima a tavolino. Non mi riferisco all’assemblea sinodale ma a tutti coloro che sul territorio si fanno domande rispetto al dialogo tra generazioni e alla capacità generativa delle nostre comunità. Se cammino deve essere allora che sia un cammino che sappia provocare grande capacità di ascolto, che sia in grado di metterci in crisi in modo sano. Ci sarebbe, infine, un’altra cosa da recuperare…
Quale?
Il 7 dicembre 1965, alla fine del Vaticano II, i padri conciliari II scrissero ai giovani del mondo per dire che la Chiesa aveva lavorato anche per ringiovanire il suo volto. Sarebbe bello che in questo cammino il Sinodo – pensando ai giovani – aiutasse la Chiesa a ringiovanire un po’ se stessa, a ritrovare vigore, sogni e slancio.