Ora di religione
La scelta di fede non può che essere libera e consapevole. I genitori possono accompagnare i loro figli, sostenerli, ma sempre nel rispetto della loro individualità e della loro coscienza, della loro libertà. Anche se questo fa soffrire il genitore credente che vede il figlio abbandonare la Chiesa e il genitore ateo che vede il figlio entrare nella Chiesa.
Sono questi gli ultimi giorni in cui le famiglie devono provvedere a iscrivere a scuola i propri figli, e ad esprimere la scelta di avvalersi o non avvalersi dell’ora di religione. Il dato è che per oltre il 90% degli studenti la scelta cade sull’ora di religione, con percentuali che si abbassano con l’alzarsi dell’età.
E come ogni anno tornano le proteste di chi vorrebbe semplicemente che questa “ora” non ci fosse. Quest’anno, però, il comunicato con cui l’Unione atei agnostici razionalisti (Uaar) annuncia il volantinaggio della campagna nazionale contro l’ora di religione si presenta … condivisibile. “Posso scegliere da grande?” è lo slogan, e il comunicato inviato dal circolo Uaar di Terni spiega che si “inviteranno gli studenti, e soprattutto i genitori a riflettere sulla scelta dell’Insegnamento della religione cattolica (Irc)” e spiegano che la loro è una “campagna a favore dell’autodeterminazione e della libertà dei bambini … lasciando loro la decisione, ‘da grandi’, di diventare atei, musulmani, cattolici, in piena consapevolezza e autonomia”. Come non essere d’accordo sulla necessità che il diventare atei o credenti debba essere un atto libero e consapevole? La Chiesa chiede anche a coloro che sono già battezzati di rinnovare, ogni anno nella Grande veglia pasquale, la scelta del battesimo ricevuto, che fossimo bambini o adulti.
Il punto è se sia possibile far crescere i figli senza trasmettere loro la nostra cultura, i nostri valori. Anche la non-scelta dell’ora di religione influenza i figli perché con essa i genitori trasmettono le loro convinzioni e le loro preferenze.
Ma i genitori sanno bene che non basta la loro volontà a fare del proprio figlio un ateo o un credente. Lo sapeva nel IV secolo Monica, madre di sant’Agostino, che tutta la vita ha pregato affinché il figlio, adulto e in carriera, scoprisse la fonte della vera vita. Lo sapevano i genitori di Madelaine Delbrel che educata nella tradizione cristiana a dodici anni fa la sua prima comunione, a 17 anni scrive che “Dio è morto” e si dichiara “strettamente atea”, e a vent’anni, nel 1924, riscopre Dio e inizia un cammino di conversione che la porta a vivere la fede nella periferia operaia della Parigi del dopoguerra. Due storie tra le tante a ricordarci che la scelta di fede non può che essere libera e consapevole. I genitori possono accompagnare i loro figli, sostenerli, ma sempre nel rispetto della loro individualità e della loro coscienza, della loro libertà. Anche se questo fa soffrire il genitore credente che vede il figlio abbandonare la Chiesa e il genitore ateo che vede il figlio entrare nella Chiesa.
La proposta dell’Uaar è, in fondo, una mezza verità dove la parte taciuta è però fondamentale. Ma è anche una campagna che indica un falso bersaglio perché la finalità dell’ora di religione non è quella di formare buoni cattolici ma di offrire un insegnamento che possa arricchire l’esperienza di crescita dei ragazzi e far “conoscere le radici cristiane della nostra cultura e della nostra società”. La Presidenza della Cei nel messaggio diffuso a inizio anno sottolinea che “la domanda religiosa è un’insopprimibile esigenza della persona umana e l’insegnamento della religione cattolica intende aiutare a riflettere nel modo migliore su tali questioni, nel rispetto più assoluto della libertà di coscienza di ciascuno, in quanto principale valore da tutelare e promuovere per una vita aperta all’incontro con l’altro e gli altri”.
Non si parla di scelta di fede. Questa sarà, se sarà, una scelta che si esprimerà, appunto, “nella libertà di coscienza di ciascuno”.