Giornata mondiale del malato

Sanità. Don Angelelli (Cei): “Riaffermare la dignità di ogni persona perché nessuno si senta abbandonato”

Domenica 11 febbraio si celebra la XXVI Giornata mondiale del malato sul tema “Ecco tuo figlio… Ecco tua madre”. Intervista a tutto campo con don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei

Declinare l’idea della salute “in modo integrale”, riaffermare sempre la dignità della persona, restituire ai medici il ruolo di “protagonisti del processo terapeutico”, valorizzare il ruolo delle strutture sanitarie cattoliche. Sono alcune delle priorità indicate da don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei, alla vigilia della Giornata mondiale del malato 2018 che si celebra domenica 11 febbraio.

Don Angelelli, anzitutto quali sollecitazioni dal messaggio del Papa?
Il tema e il messaggio per questa Giornata ci ricordano un legame inscindibile tra Gesù, sua madre Maria e la comunità degli uomini. In Giovanni ogni uomo è affidato a Maria e curato da Lei. È un testo di ampio respiro e di grande sollecitazione, che contiene parole forti, di sostegno e di indirizzo.

Francesco ricorda la vocazione materna della Chiesa e definisce la pastorale della salute “compito necessario ed essenziale”. Come vi sentite interpellati?
Ci sentiamo incoraggiati ad un sempre maggiore impegno. Ogni comunità cristiana può diventare una comunità sanante, capace di farsi carico delle fragilità dei fratelli e sorelle. Si parla molto di pastorale integrata: il Papa ci dice che in questo scenario la pastorale della salute può svolgere un servizio determinante.

Ridimensionamento della spesa sanitaria, abbandono delle cure da parte di 11 milioni di italiani, cambiamenti nello “statuto” della medicina… Quale ruolo per la Chiesa e le sue strutture sanitarie?
La Chiesa italiana in questa fase storica si trova a svolgere un ruolo di difesa delle istanze dei più fragili. Il paradigma economico in sanità è una prospettiva pericolosa, perché se da una parte è doveroso andare verso una sanità economicamente sostenibile, dall’altra non dobbiamo dimenticare che tutti, sempre, hanno diritto ad essere curati. L’Italia adotta ancora un sistema universalistico di accesso alle cure, ma che lo è sempre meno. Credo che non ci sia bisogno ancora di nuovi fondi, quanto piuttosto che ci siano ampi margini per spendere “meglio”. Nel bilancio della sanità voci come medicina difensiva, corruzione e sprechi non hanno nulla di sanitario, ma drenano risorse per alcuni miliardi di euro l’anno. Lo Stato può intervenire e “curare” meglio il suo modo di spendere. Le strutture sanitarie cattoliche e d’ispirazione cristiana sono chiamate a coniugare questo paradigma:

un reale accesso alle cure per tutti, un’attenzione amorevole nel prendersi cura dell’altro, una piena trasparenza e sostenibilità economica.

Cosa le dice l’immagine di Chiesa come “ospedale da campo” e quale dovrebbe essere l’identikit di una struttura sanitaria cattolica?
L’ospedale da campo rimanda a un’idea di emergenza, di grande capacità di mobilitazione, in cui tutti vengono accolti e tutti vengono curati. Esiste una dimensione nelle opere della Chiesa, caratteristica dei grandi fondatori: la dimensione profetica. I fondatori degli ordini religiosi con carisma assistenziale hanno letto nella realtà quotidiana una necessità del popolo di Dio, dei loro fratelli e sorelle fragili, e hanno risposto con generosità. Oggi le strutture sanitarie cattoliche sono chiamate a rileggere profeticamente i bisogni dell’uomo e rispondere con coraggio e generosità. È inoltre necessaria una maggiore vicinanza e condivisione di buone pratiche, una capacità di fare rete, nel rispetto delle identità di ciascuna opera, ma anche per creare sostegno reciproco.

Il Papa non si stanca di mettervi in guardia dal rischio aziendalismo…
La specificità delle strutture di cura cattoliche sta nell’unire una sana gestione economica, necessaria, con una missione di cura evangelizzatrice, con un bisogno di un nuovo annuncio del Vangelo che passa anzitutto dal contrasto della cultura dello scarto, attraverso una capacità di farsi carico amorevolmente della cura dell’altro.

Alcuni pensano che avendo dei buoni bilanci si possa fare una buona sanità. Penso il contrario: se faccio una buona sanità avrò dei buoni bilanci, cioè la mia opera sarà sostenibile economicamente.

In Italia abbiamo molti esempi di strutture cattoliche virtuose che hanno raggiunto questo obiettivo. Mi auguro che divengano modelli generativi, imitati e condivisi.

Priorità ed “emergenze” della sanità in Italia?
Le priorità sono molte, a partire da una nuova visione dell’idea stessa di salute, che deve essere declinata in modo integrale. Ho la sensazione che si vada verso modelli di accesso alle cure che creano ulteriori discriminazioni tra ricchi e nuovi poveri, tra i “produttivi” e i “fuori mercato”.

Dobbiamo riaffermare la dignità della persona, sempre, quale che sia la sua condizione, perché nessuno si senta solo o abbandonato.

C’è anche necessità che i medici tornino ad essere protagonisti del processo terapeutico, stabilendo una nuova alleanza relazionale con il paziente; nel rispetto dei reciproci ruoli, della professionalità del medico come della capacità di autodeterminazione del paziente, il dialogo alla ricerca del bene integrale della persona è la linea guida di ogni buon percorso di cura. Chiediamo anche rispetto e valorizzazione per il ruolo sussidiario che svolgono le strutture sanitarie cattoliche rispetto alla sanità pubblica: senza di queste saremmo tutti più poveri, più malati e più soli.

Che cosa può fare la Chiesa per aiutare le famiglie impegnate in prima persona h24 nell’assistenza dei propri cari malati cronici o gravemente disabili?
La sanità pubblica sta modificando i modelli e i processi di cura, spostandoli nei percorsi domiciliari. Non è sbagliato che la persona possa essere curata senza essere ospedalizzata, purché sia curata. Nell’ambito dell’assistenza domiciliare c’è molto da costruire. Si è ottenuto un risparmio economico riducendo i giorni di degenza, ma si è spostato sulle famiglie il costo delle cure successive. La pastorale della salute si sta radicando sempre più sul territorio, nelle parrocchie, dove ci sono le maggiori emergenze, che vanno dagli anziani soli ai malati cronici. La sfida che ci attende è il consolidamento di comunità parrocchiali sananti e solidali, capaci di farsi carico dei fratelli più fragili.