Protesta
Terzo giorno di chiusura del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Continua così la protesta delle tre Chiese responsabili della basilica – il Patriarcato greco-ortodosso, la Custodia di Terra Santa e il Patriarcato armeno – contro la decisione del Comune di Gerusalemme di reclamare tasse comunali per oltre 151 milioni di euro, e contro la proposta di legge sui terreni della Chiesa. Il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton, fa il punto della situazione.
Terzo giorno di chiusura del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Non si placa la protesta delle tre Chiese responsabili della basilica, il Patriarcato greco-ortodosso, la Custodia di Terra Santa e il Patriarcato armeno, contro la decisione del Comune di Gerusalemme che reclama dalle Chiese (e non solo) il versamento delle tasse comunali, conosciute come Arnona, sugli immobili non adibiti al culto. In ballo circa 650 milioni di shekel (oltre 151 milioni di euro). La protesta coinvolge anche un disegno di legge che riguarda esclusivamente terre di proprietà della Chiesa e ritenuto per questo motivo discriminatorio. Per Theophilos III, patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme, padre Francesco Patton, custode di Terra Santa, e Nourhan Manougian, patriarca armeno della Città santa si è davanti a una “flagrante violazione dello Status quo esistente” e al “tentativo di indebolire la presenza cristiana a Gerusalemme”. Il Sir ha intervistato il Custode di Terra Santa.
Padre Patton, siamo al terzo giorno di serrata della basilica del Santo Sepolcro. Quando prevedete di riaprirla al culto dei pellegrini?
Al momento le porte sono ancora chiuse. La nostra speranza è quella di riaprirle quanto prima. Stiamo aspettando che ci sia qualche cambiamento nella situazione (nel frattempo Israele ha congelato tasse e legge su terreni Chiese). Tutte le altre Chiese sono solidali con noi. Ci dispiace immensamente per i pellegrini poiché ci rendiamo conto sono proprio loro i più penalizzati. In questi anni abbiamo lavorato tanto per invitarli a venire e oggi si trovano a non poter pregare nel luogo culmine della nostra fede. Tuttavia, spero che possano comprendere la nostra scelta che non è affatto contro di loro.
Se abbiamo assunto questa posizione non è per non pagare le tasse ma per tutelare la piccola presenza cristiana.
Avete avuto dei riscontri da Papa Francesco?
Suppongo stia seguendo, in qualche maniera, l’evolversi della vicenda.
Come si è arrivati a questa protesta così clamorosa?
Progressivamente. In questo ultimo periodo è arrivata dal Comune di Gerusalemme la richiesta del pagamento retroattivo delle tasse che non tiene conto dello Status quo delle Chiese qui nella Città Santa. Durante l’epoca ottomana, il mandato britannico e giordano e ancora sotto Israele lo Status quo è sempre stato rispettato.
A Gerusalemme le Chiese non fanno affari per profitto, ma hanno tutte opere sociali che evidentemente alleggeriscono il peso che grava sulla municipalità.
Per citare alcuni esempi: la Custodia nella città vecchia di Gerusalemme offre alloggio a costo zero a oltre 300 famiglie cristiane e questa è un’opera sociale. Le scuole sono un altro esempio: ogni anno dobbiamo sanare i bilanci delle scuole che non hanno entrate sufficienti per sopravvivere. Se ci sono delle entrate non è per realizzare un profitto ma per finanziare queste opere.
Non si tratta di privilegi.
Senza dimenticare che l’arrivo di tanti pellegrini qui a Gerusalemme è fonte di grosse entrate per la municipalità grazie al denaro che essi spendono in città.
Perché, a suo parere, il sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat, ha assunto questa decisione? La coincidenza con l’annuncio di Trump di trasferire nella Città Santa l’ambasciata Usa il 14 maggio e con i guai giudiziari del premier Netanyahu, è quantomeno sospetta…
Bisognerebbe chiederlo a lui o a quegli analisti che si interessano di politica locale.
Per noi non è una questione politica.
Siamo interessati solo a risolvere il problema.
In ogni caso stupisce la decisione unilaterale del sindaco visto che il tema delle esenzioni fiscali è inserito nell’Accordo fondamentale tra Santa Sede e Israele del 1993. C’è una Commissione bilaterale Israele-Santa Sede che da anni lavora per l’attuazione dei punti riguardanti il regime tributario della Chiesa e le questioni di proprietà sui Luoghi Santi.
È una scelta che ha dei precedenti. Altre municipalità avevano già provato a fare la stessa cosa. Certamente per Gerusalemme la cosa appare molto più delicata poiché riguarda lo Status Quo. Ci sono dei consoli che si occupano della specificità della Città Santa. Gerusalemme ha una unicità che richiede prudenza nel prendere decisioni di tipo unilaterale. Ma vorrei aggiungere ancora una cosa sui motivi della protesta…
Quale?
Contestiamo la proposta “Church lands bill”, vale a dire la legge sui terreni della Chiesa che doveva essere discussa domenica scorsa al Parlamento israeliano (Knesset), poi rimandata a causa delle nostre proteste. La legge, che prende di mira in particolare il Patriarcato greco-ortodosso, se approvata permetterebbe allo Stato di espropriare terre cedute dalla Chiesa greco-ortodossa a privati, che potrebbero diventare oggetto di future contese giudiziarie. Riteniamo questa legge discriminatoria: se c’è un problema in tale ambito, questo va risolto e regolato a tutela di tutti e non a danno delle Chiese.
Questo modo di promuovere delle leggi che vanno a toccare soggetti specifici – oggi riguarda il Patriarcato greco-ortodosso, domani potrebbe essere la volta di un’altra Chiesa – non è accettabile. Norme di questo tipo mettono sicuramente in difficoltà la presenza cristiana a Gerusalemme.
Le tasse arretrate reclamate dal Comune di Gerusalemme alle Chiese superano i 150 milioni di euro. Avete calcolato quale sarebbe la quota spettante alle diverse Chiese cattoliche presenti nella Città Santa?
Non abbiamo fatto calcoli di questo tipo. Sarebbe, in effetti, una cosa molto complicata poiché si dovrebbe tirare la somma di ciò che toccherebbe al Patriarcato Latino, alla Custodia di Terra Santa e a tutte le altre Chiese di rito orientale presenti a Gerusalemme, come maroniti, melkiti e via dicendo. Ci sono poi i vari Istituti e Congregazioni religiose maschili e femminili.
A questo punto cosa pensate di fare: andare avanti con la protesta e fino a quando?
Proprio stamattina ci siamo incontrati con gli altri capi delle Chiese di Gerusalemme. La priorità è risolvere questi due problemi: le tasse e la proposta di legge sui terreni.
Stiamo aspettando una qualche forma di interlocuzione.
Non è una questione politica, non si tratta di mancanza di rispetto nei confronti dello Stato di Israele con il quale abbiamo buone relazioni ma di due problemi specifici, uno con la municipalità e l’altro con una proposta di legge, per ora posticipata ma che potrebbe essere riproposta anche a breve. Stiamo preparando una nuova dichiarazione. È importante mantenere una posizione ferma e unita soprattutto quando ci sarà da dialogare, se ci verrà dato il modo.
Il “divide et impera” lo conosciamo troppo bene.