Dopo il voto
L’Italia è nettamente divisa in due. Nelle regioni del Sud il M5S vince a valanga, con percentuali elevatissime. Il Nord è saldamente nelle mani del centro-destra a trazione leghista. In quelle regioni centrali che un tempo costituivano la roccaforte del centro-sinistra, il Pd e i suoi alleati conservano il primato soltanto in Toscana, mentre lo perdono in Emilia-Romagna e in Umbria
Per la Terza Repubblica nata con il voto di domenica scorsa, il primo banco di prova sarà l’elezione dei presidenti delle nuove Camere, la cui prima seduta è fissata per il 23 marzo. In quella occasione si vedranno concretamente all’opera le forze che sono uscite dalla prova elettorale, vincitori e vinti, e si misurerà la capacità di costruire accordi all’interno di un Parlamento completamente trasformato rispetto al precedente.
I numeri sono inequivocabili. Il Movimento 5 Stelle, con il 32,68% alla Camera e il 32,21% al Senato, è di gran lunga il primo partito. La coalizione più votata, con il 37% alla Camera e il 37,49% al Senato, è quella di centro-destra. All’interno di essa, però, gli equilibri si sono ribaltati: il primo partito è la Lega (17,37% alla Camera e 17,62% al Senato), Forza Italia si ritrova seconda (14,01% alla Camera e 14,42% al Senato), seguita a grande distanza da Fratelli d’Italia (4,35% e 4,26%), mentre Noi con l’Italia-Udc si è attestata al di sotto della soglia di sbarramento del 3% (1,30% e 1,19%). Il Pd risulta fortemente ridimensionato. Si è fermato a quota 18,72% alla Camera e 19,12% al Senato. La coalizione di centro-sinistra ha ottenuto rispettivamente il 22,85% e il 22,99% ma nessuna delle forze alleate del Pd ha superato lo sbarramento, neanche +Europa che peraltro ha ottenuto il 2,55% e il 2,36%). Al di fuori di questi schieramenti, soltanto Liberi e Uguali, ha superato – anche se di poco – la quota necessaria per accedere al riparto proporzionale, attestandosi al 3,39% alla Camera e al 3,27% al Senato.
Anche se i dati non sono ancora ufficiali perché alcune (poche) sezioni hanno inviato i verbali direttamente alle Corti d’appello, a cui spetta la proclamazione degli eletti, il ministero dell’Interno ha potuto provvedere, in base alla legge, all’assegnazione provvisoria dei seggi.
La geografia del nuovo Parlamento è del tutto inedita. A Montecitorio il centro-destra ha 260 deputati, il M5S 221, il centro-sinistra 112, LeU 14. A Palazzo Madama il centro-destra ha 135 senatori, il M5S 112, il centro-sinistra 57, LeU 4. Tenuto conto che alla Camera la maggioranza è di 316 seggi e al Senato di 158, appare evidente che nessun partito o coalizione è in grado di sostenere autonomamente un governo e dovrà quindi cercare di stringere accordi. Anche per questo sarà importantissimo e rivelatore il passaggio dell’elezione di presidenti dei due rami del Parlamento. Al Senato, se dopo tre votazioni nessun candidato ottiene la maggioranza assoluta, si procede al ballottaggio tra i due più votati. Alla Camera occorrono i due terzi nei primi tre scrutini, poi comunque la maggioranza assoluta, a oltranza. Dopo l’elezione dei presidenti delle assemblee di Montecitorio e Palazzo Madama, entro il 25 marzo deputati e senatori dovranno comunicare a quale gruppo hanno deciso di aderire ed entro il 27 i gruppi parlamentari eleggeranno i rispettivi presidenti. A questo punto il governo in carica darà le dimissioni nelle mani del Capo dello Stato che avvierà le consultazioni per il nuovo governo.
Ma le elezioni del 4 marzo non hanno riscritto soltanto la geografia del Parlamento. È la stessa geografia politica del Paese a risultare irriconoscibile.
L’Italia è nettamente divisa in due.
Nelle regioni del Sud il M5S vince a valanga, con percentuali elevatissime. Il Nord è saldamente nelle mani del centro-destra a trazione leghista. In quelle regioni centrali che un tempo costituivano la roccaforte del centro-sinistra, il Pd e i suoi alleati conservano il primato soltanto in Toscana, mentre lo perdono in Emilia-Romagna e in Umbria. Colpisce e fa riflettere il dato in controtendenza di Milano, in cui il Pd risulta al primo posto. L’emorragia di voti dal Partito democratico non è stata neanche minimamente compensata da Liberi e Uguali, la formazione nata da una scissione a sinistra, che ha ottenuto un risultato decisamente inferiore alle sue ambizioni. L’analisi dei flussi elettorali effettuata dalla Swg indica che i voti in uscita dal partito di Renzi sono andati in prevalenza al M5S o sono confluiti nel bacino delle astensioni e non sono andati a vantaggio di LeU. La stessa analisi rivela che la Lega ha beneficiato in modo rilevante dei voti in uscita da Forza Italia.
Peraltro, secondo un’analisi del Cise, il Centro studi elettorali della Luiss, la crescita della Lega è associata alle province con il più alto tasso di stranieri, mentre la crescita del M5S è associata alle province con il più alto tasso di disoccupazione.
Insomma, lavoro e migrazioni appaiono come le sfide decisive per l’agenda politica degli italiani.
Adesso c’è da sperare che le forze politiche rappresentate in Parlamento siano all’altezza della responsabilità che è stato loro affidata dai cittadini, con una partecipazione al voto che ha smentito le previsioni negative della vigilia: l’affluenza è stata del 72,93% alla Camera e del 72,99% al Senato, appena due punti sotto quella del 2013. Ma allora i seggi erano stati aperti anche il lunedì e per votare non si era stati costretti a fare lunghe file come stavolta, a causa soprattutto – pare – del “tagliando antifrode”.