Dopo il voto

Protesta e proposta

Non sarà facile, vista la contrapposizione tra i partiti sperimentata per tutta la campagna elettorale, trovare una combinazione di due o tre forze politiche disposte a offrire, incondizionatamente, la loro collaborazione per dare vita ad un governo che duri per tutta questa 18ª legislatura

(Foto: AFP/SIR)

La prima domanda che molti italiani si sono posti all’indomani delle elezioni suona pressappoco cosi: “e ora come finisce?”. Gli elettori hanno dato al centro-destra circa il 38% dei voti; ai Cinque Stelle il 32% e al centro-sinistra il 23%. Il risultato è tale che nessuno ha i numeri per governare da solo. Sotto questo punto di vista, si è verificato quanto era stato ampiamente previsto. Per tutta la campagna elettorale, infatti, si è detto che, nelle condizioni date, l’Italia, all’indomani delle elezioni si sarebbe trovata con un problema in più, quello della governabilità. E, in effetti, non sarà facile, vista la contrapposizione tra i partiti sperimentata per tutta la campagna elettorale, trovare una combinazione di due o tre forze politiche disposte a offrire, incondizionatamente, la loro collaborazione per dare vita ad un governo che duri per tutta questa 18ª legislatura. Sotto il profilo della lettura dei dati, invece, è innegabile il successo dei Cinque Stelle e quello della Lega, le due forze politiche che hanno saputo, meglio delle altre, interpretare le richieste più pressanti dei cittadini: il grido di protesta del meridione per la difficile situazione economica e la rabbia del nord per il fenomeno dell’immigrazione. Come è accaduto in tanti altri Paesi europei, compresa la coriacea Germania, le forze di governo, al di là dei demeriti, sono state punite e, con esse, anche quelle che rappresentano la vecchia classe politica. La parola d’ordine è stata cambiare, succeda quel che succede. Il Paese risulta ora diviso in due: al nord la Lega e al Sud i Cinque stelle. Forza Italia, personificata da Berlusconi e il Pd a trazione Renzi, sono sicuramente i due principali sconfitti della partita. Berlusconi, superato da Salvini, vede svanire il sogno di riportare la sua Forza Italia alla guida del Paese; Renzi, reo di avere portato il suo partito al di sotto del 20%, medita, nonostante la giovane età, di fare un passo indietro. Questa una prima, sommaria lettura del risultato elettorale di domenica scorsa che, con circa il 75% dei votanti, registra, fortunatamente, un contenimento del fenomeno dell’astensione.

Se questo è il risultato più eloquente della protesta, è possibile immaginare, anche in presenza di un contesto politico deteriorato perfino sul piano dei rapporti personali, un atteggiamento propositivo nell’interesse del Paese? Non solo dobbiamo auspicarlo, dobbiamo considerarlo indispensabile. Sia i vincitori che i vinti dovranno rivedere necessariamente i loro progetti, più o meno velleitari, formulati durante la campagna elettorale. Anche chi con tanta sicumera aveva dato appuntamento, in senso metaforico, per il 5 marzo a Palazzo Chigi – la sede del governo – dovrà rivedere i suoi piani. Da soli nessuno governa e nessuno, da qui in avanti, potrà ancora dire “tutti dovranno venire a parlare con noi!”. Passata per i vincitori l’euforia per i risultati elettorali e la delusione per i vinti, ora inizia un percorso politico scandito da scadenze rigorose dettate dalle leggi e dai regolamenti. “Qui si parrà – è il caso di dire – la loro nobilitate”.

Il 23 marzo la prima riunione delle nuove Camere per l’elezione dei rispettivi presidenti; subito dopo la costituzione dei gruppi parlamentari. Operazioni queste indispensabili per potere iniziare, presumibilmente il 2 aprile, le consultazioni da parte del presidente della Repubblica per la formazione del governo. Meno di un mese, quindi, per effettuare prove di dialogo fra le forze politiche che, necessariamente, dovranno “deporre l’ascia di guerra” per imbracciare “il calumet della pace”. Anche perché il presidente Mattarella, nel dare l’incarico per la formazione del governo, non si farà orientare esclusivamente dai risultati elettorali – primo partito o prima coalizione – ma, al termine delle consultazioni, valuterà in base alle possibilità che la persona da incaricare avrà dimostrato di formare il governo. Dei programmi, delle promesse roboanti formulate durante la campagna elettorale, nonché dei propositi più o meno rivoluzionari della politica se ne parlerà successivamente. Insomma, o si va da Mattarella con i numeri, oppure “tutti a casa”.

(*) direttore de “La Vita diocesana” (Noto)